Pagina:Collodi - Storie allegre.djvu/119


— 118 —


Gino. Sì; ma l’altre sere io e l’Ida ci fanno cenare alle otto, per poi mandarci a letto. Cenare alle otto mi pare una cena da polli.

Alfredo. Che cosa vorresti fare tutta la sera levato? Dopo le ventiquattro ti addormenteresti sul canapè.

Gino. Io, anzi, non ho mai sonno.

Alfredo. Bravo! Meno male che ti sei addormentato anche stasera.

Gino. Dove?

Alfredo. Nel palco.

Gino. Quando?

Alfredo. A metà del second’atto: non è vero, Ida?

Ida. M’è parso anche a me.

Gino. Nossignori: sbagliano, non dormivo.

Alfredo. O allora che cosa facevi?

Gino (un po’ confuso). Pareva che dormissi.... ma in vece pensavo.

Alfredo (ridendo). O che per pensare c’è forse bisogno di chiudere gli occhi?

Gino. Secondo i naturali delle persone. Per esempio, anche il nostro maestro di scuola qualche volta, specialmente nelle ore calde dell’estate, ci dice: «Ragazzi, siate buoni e non fate tanto chiasso, perchè ho bisogno di pensare cinque minuti a una cosa;» e quando ha detto così, appoggia la testa alla spalliera della poltrona, chiude gli occhi, apre la bocca e comincia a pensare....

Alfredo. Ossia, comincierà a dormire.

Gino. Nossignore, non dorme; tant’è vero che, se urliamo troppo forte, si sveglia subito, e ci fa una strapazzata di quelle co’ fiocchi.... Ma dunque, si va o non si va a cena? Ho una fame che la vedo.