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— E non ti fermare dinanzi alle vetrine delle botteghe.
— Che mi credi un ragazzo? —
Senza stare a dir altro, Gigino ritornò in camera; e dopo due minuti era giù in mezzo alla strada, con in testa il suo bellissimo cappello a tuba, ritinto a nuovo.
La gente si voltava a guardarlo, e rideva: ma lui si pavoneggiava, ed era contento come una pasqua.
Per altro le contentezze in questo mondo duran poco: tant’è vero che prima di arrivare alla bottega del cartolaro, il nostro Gigino incontrò due monelli di strada, che incominciarono a girargli d’intorno e a fargli delle grandi riverenze e dei grandi salamelecchi, gridando con quanto fiato avevano in gola:
— Sor Dottore, buon giorno a lei!... Ben arrivato, sor Dottore! —
Altri monelli sopraggiunsero strillando:
— Guarda che bel cappellone!... Sor Cappellone, la si rigiri!... Evviva Cappellone!... —
E lì grandi risate, urli, fischi, un baccano indiavolato, da levar di cervello.
Il povero Gigino, che avrebbe pagato Dio sa che cosa per aver le ali come un uccello, e tornarsene, volando, a casa dalla sua mamma, si provò più volte a farsi largo e a svignarsela, ma i monelli, riunitisi in cerchio, gli chiudevano ogni via di salvezza.
— Mi pare una bella porcheria! — gridó piangendo. — Io vado per i fatti miei, e non do noia a nessuno.... e non voglio che nessuno dia noia a me....
— Bravo Cappellone! — urlò un ragazzaccio, più sba-