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chè si correggesse dal brutto vizio di dire bugie, il più brutto vizio che possa avere un ragazzo. Ma quando lo vide trasfigurato e cogli occhi fuori della testa dalla gran disperazione, allora, mossa a pietà, battè le mani insieme, e a quel segnale entrarono in camera dalla finestra un migliaio di grossi uccelli chiamati Picchi, i quali, posatisi tutti sul naso di Pinocchio, cominciarono a beccarglielo tanto e poi tanto, che in pochi minuti quel naso enorme e spropositato si trovò ridotto alla sua grandezza naturale.

— Quanto siete buona, Fata mia, — disse il burattino, asciugandosi gli occhi — e quanto bene vi voglio!

— Ti voglio bene anch’io — rispose la Fata — e se tu vuoi rimanere con me, tu sarai il mio fratellino e io la tua buona sorellina....

— Io resterei volentieri.... ma il mio povero babbo?

— Ho pensato a tutto. Il tuo babbo è stato digià avvertito: e prima che faccia notte, sarà qui.

— Davvero? — gridò Pinocchio, saltando dall’allegrezza. — Allora, Fatina mia, se vi contentate, vorrei andargli incontro! Non vedo l’ora di poter dare un bacio a quel povero vecchio, che ha sofferto tanto per me!

— Va’ pure, ma bada di non ti sperdere. Prendi la via del bosco, e sono sicurissima che lo incontrerai. —

Pinocchio partì: e appena entrato nel bosco, cominciò a correre come un capriòlo. Ma quando fu arrivato a un certo punto, quasi in faccia alla Quercia grande, si fermò, perchè gli parve di aver sentito gente fra mezzo alle frasche. Difatti vide apparire sulla strada, indovinate chi?... la Volpe e il Gatto, ossia i due compagni di viaggio coi quali aveva cenato all’osteria del Gambero rosso.