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senza ripigliar fiato, la Lumaca rispose con la sua solita flemma:
— Pinocchio mio! La povera Fata giace in un fondo di letto allo spedale!...
— Allo spedale?...
— Pur troppo. Colpita da mille disgrazie, si è gravemente ammalata, e non ha più da comprarsi un boccon di pane.
— Davvero?... Oh! che gran dolore che mi hai dato! Oh! povera Fatina! povera Fatina! povera Fatina!... Se avessi un milione, correrei a portarglielo.... Ma io non ho che quaranta soldi.... eccoli qui: andavo giusto a comprarmi un vestito nuovo. Prendili, Lumaca, e va’ a portarli subito alla mia buona Fata.
— E il tuo vestito nuovo?
— Che m’importa del vestito nuovo? Venderei anche questi cenci che ho addosso, per poterla aiutare! Va’, Lumaca, e spicciati: e fra due giorni ritorna qui, che spero di poterti dare qualche altro soldo. Finora ho lavorato per mantenere il mio babbo: da oggi in là, lavorerò cinque ore di più per mantenere anche la mia buona mamma. Addio, Lumaca, e fra due giorni ti aspetto. —
La Lumaca, contro il suo costume, cominciò a correre come una lucertola nei grandi solleoni d’agosto.
Quando Pinocchio tornò a casa, il suo babbo gli domandò:
— E il vestito nuovo?
— Non m’è stato possibile di trovarne uno che mi tornasse bene. Pazienza!... Lo comprerò un’altra volta. —
Quella sera Pinocchio, invece di vegliare fino alle dieci, vegliò fino alla mezzanotte sonata: e invece di far otto canestri di giunco ne fece sedici.