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chi centesimi un grosso libro, al quale mancavano il frontespizio e l’indice, e con quello faceva la sua lettura. Quanto allo scrivere, si serviva di un fuscello temperato a uso penna; e non avendo nè calamaio nè inchiostro, lo intingeva in una boccettina ripiena di sugo di more e di ciliege.

Fatto sta che con la sua buona volontà d’ingegnarsi, di lavorare e di tirarsi avanti, non solo era riuscito a mantenere quasi agiatamente il suo genitore sempre malaticcio, ma per di più aveva potuto mettere da parte anche quaranta soldi per comprarsi un vestitino nuovo.

Una mattina disse a suo padre:

— Vado qui al mercato vicino a comprarmi una giacchettina, un berrettino e un paio di scarpe. Quando tornerò a casa — soggiunse ridendo — sarò vestito così bene, che mi scambierete per un gran signore. —

E uscito di casa, cominciò a correre tutto allegro e contento. Quando a un tratto sentì chiamarsi per nome: e voltandosi, vide una bella Lumaca che sbucava fuori dalla siepe.

— Non mi riconosci? — disse la Lumaca.

— Mi pare e non mi pare....

— Non ti ricordi di quella Lumaca, che stava per cameriera con la Fata dai capelli turchini? non ti rammenti di quella volta quando scesi a farti lume e che tu rimanesti con un piede confitto nell’uscio di casa?

— Mi rammento di tutto — gridò Pinocchio. — Rispondimi subito, Lumachina bella: dove hai lasciato la mia buona Fata? che fa? mi ha perdonato? si ricorda sempre di me? mi vuol sempre bene? è molto lontana da qui? potrei andare a trovarla? —

A tutte queste domande, fatte precipitosamente e