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— È la febbre del somaro.

— Non la capisco questa febbre! — rispose il burattino, che l’aveva pur troppo capita.

— Allora te la spiegherò io — soggiunse la Marmottina. — Sappi dunque che fra due o tre ore tu non sarai più nè un burattino, nè un ragazzo....

— E che cosa sarò?

— Fra due o tre ore, tu diventerai un ciuchino vero e proprio, come quelli che tirano il carretto e che portano i cavoli e l’insalata al mercato.

— Oh! povero me! povero me! — gridò Pinocchio pigliandosi con le mani tutt’e due gli orecchi, e tirandoli e strappandoli rabbiosamente, come se fossero gli orecchi di un altro.

— Caro mio, — replicò la Marmottina per consolarlo — che cosa ci vuoi tu fare? Oramai è destino, oramai è scritto nei decreti della sapienza, che tutti quei ragazzi svogliati che, pigliando a noia i libri, le scuole e i maestri, passano le loro giornate in balocchi, in giochi e in divertimenti, debbano finire prima o poi col trasformarsi in tanti piccoli somari.

— Ma davvero è proprio così? — domandò singhiozzando il burattino.

— Pur troppo è così! E ora i pianti sono inutili. Bisognava pensarci prima!

— Ma la colpa non è mia: la colpa, credilo, Marmottina, è tutta di Lucignolo!...

— E chi è questo Lucignolo?

— Un mio compagno di scuola. Io volevo tornare a casa: io volevo essere ubbidiente: io volevo seguitare a studiare e a farmi onore.... ma Lucignolo mi disse: — «Perchè vuoi tu annoiarti a studiare? perchè vuoi an-