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maestri, per darsi interamente ai balocchi e ai divertimenti, non possono far altro che una fine disgraziata!... Io lo so per prova!... e te lo posso dire! Verrà un giorno che piangerai anche tu, come oggi piango io.... ma allora sarà tardi!... —
A queste parole bisbigliate sommessamente, il burattino, spaventato più che mai, saltò giù dalla groppa della cavalcatura, e andò a prendere il suo ciuchino per il muso.
E immaginatevi come restò, quando s’accòrse che il suo ciuchino piangeva.... e piangeva proprio come un ragazzo!
— Ehi, signor omino, — gridò allora Pinocchio al padrone del carro — sapete che cosa c’è di nuovo? Questo ciuchino piange.
— Lascialo piangere: riderà quando sarà sposo.
— Ma che forse gli avete insegnato anche a parlare?
— No: ha imparato da sè a borbottare qualche parola, essendo stato tre anni in una compagnia di cani ammaestrati.
— Povera bestia!...
— Via, via.... — disse l’omino — non perdiamo il nostro tempo a veder piangere un ciuco. Rimonta a cavallo, e andiamo: la nottata è fresca e la strada è lunga. —
Pinocchio obbedì senza rifiatare. Il carro riprese la sua corsa: e la mattina sul far dell’alba arrivarono felicemente nel «Paese dei balocchi.»
Questo paese non somigliava a nessun altro paese del mondo. La sua popolazione era tutta composta di ragazzi. I più vecchi avevano 14 anni: i più giovani ne avevano 8 appena. Nelle strade, un’allegria, un chiasso,