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— La Fata dorme e non vuol essere svegliata.

— Ma che cosa volete che io faccia, inchiodato tutto il giorno a questa porta?

— Divertiti a contare le formicole che passano per la strada.

— Portatemi almeno qualche cosa da mangiare, perchè mi sento rifinito.

— Subito! — disse la Lumaca.

Difatti dopo tre ore e mezzo, Pinocchio la vide tornare con un vassoio d’argento in capo. Nel vassoio c’era un pane, un pollastro arrosto e quattro albicocche mature.

— Ecco la colazione che vi manda la Fata — disse la Lumaca.

Alla vista di quella grazia di Dio, il burattino sentì consolarsi tutto. Ma quale fu il suo disinganno, quando incominciando a mangiare, si dovè accorgere che il pane era di gesso, il pollastro di cartone e le quattro albicocche di alabastro, colorite, come se fossero vere.

Voleva piangere, voleva darsi alla disperazione, voleva buttar via il vassoio e quel che c’era dentro; ma invece, o fosse il gran dolore o la gran languidezza di stomaco, fatto sta che cadde svenuto.

Quando si riebbe, si trovò disteso sopra un sofà, e la Fata era accanto a lui.

— Anche per questa volta ti perdono — gli disse la Fata — ma guai a te, se me ne fai un’altra delle tue!... —

Pinocchio promise e giurò che avrebbe studiato, e che si sarebbe condotto sempre bene. E mantenne la parola per tutto il resto dell’anno. Difatti agli esami delle vacanze, ebbe l’onore di essere il più bravo della scuola; e i suoi portamenti, in generale, furono giudicati così