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E Pinocchio non se lo fece dire due volte: prese subito il sacchetto dei lupini che era vuoto, e dopo averci fatto colle forbici una piccola buca nel fondo e due buche dalle parti, se lo infilò a uso camicia. E vestito leggerino a quel modo, si avviò verso il paese. Ma, lungo la strada, non si sentiva punto tranquillo; tant’è vero che faceva un passo avanti e uno indietro, e discorrendo da sè solo, andava dicendo:
— Come farò a presentarmi alla mia buona Fatina? Che dirà quando mi vedrà?... Vorrà perdonarmi questa seconda birichinata?... Scommetto che non me la perdona!... oh! non me la perdona di certo!... E mi sta il dovere: perchè io sono un monello che prometto sempre di correggermi, e non mantengo mai!...
Arrivò al paese che era già notte buia; e perchè faceva tempaccio e l’acqua veniva giù a catinelle, andò diritto diritto alla casa della Fata, coll’animo risoluto di bussare alla porta e di farsi aprire.
Ma quando fu lì, sentì mancarsi il coraggio, e invece di bussare, si allontanò, correndo, una ventina di passi. Poi tornò una seconda volta alla porta, e non concluse nulla: poi si avvicinò una terza volta e nulla: la quarta volta prese, tremando, il battente di ferro in mano e bussò un piccolo colpettino.
Aspetta, aspetta, finalmente dopo mezz’ora si aprì una finestra dell’ultimo piano (la casa era di quattro piani) e Pinocchio vide affacciarsi una grossa Lumaca, che aveva un lumicino acceso sul capo, la quale disse:
— Chi è a quest’ora?
— La Fata è in casa? — domandò il burattino.
— La Fata dorme e non vuol essere svegliata: ma tu chi sei?