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— È verissimo; — soggiunse il pescatore — e siccome vedo che sei un pesce, che hai la fortuna di parlare e di ragionare come me, così voglio usarti anch’io i dovuti riguardi.

— E questi riguardi sarebbero?...

— In segno di amicizia e di stima particolare, lascerò a te la scelta del come vuoi esser cucinato. Desideri esser fritto in padella, oppure preferisci di esser cotto nel tegame colla salsa di pomidoro?

— A dir la verità, — rispose Pinocchio — se io debbo scegliere, preferisco piuttosto di esser lasciato libero, per potermene tornare a casa mia.

— Tu scherzi! Ti pare che io voglia perdere l’occasione di assaggiare un pesce così raro? Non capita mica tutti i giorni un pesce burattino in questi mari. Lascia fare a me: ti friggerò in padella assieme a tutti gli altri pesci, e te ne troverai contento. L’esser fritto in compagnia è sempre una consolazione. —

L’infelice Pinocchio, a quest’antifona, cominciò a piangere, a strillare, a raccomandarsi: e piangendo diceva: — Quant’era meglio, che fossi andato a scuola!... Ho voluto dar retta ai compagni, e ora la pago! Ih!... Ih!... Ih!... —

E perchè si divincolava come un’anguilla e faceva sforzi incredibili, per isgusciare dalle grinfie del pescatore verde, questi prese una bella buccia di giunco, e dopo averlo legato per le mani e per i piedi, come un salame, lo gettò in fondo alla conca cogli altri.

Poi, tirato fuori un vassoiaccio di legno, pieno di farina, si dètte a infarinare tutti quei pesci: e man mano che li aveva infarinati, li buttava a friggere dentro la padella.