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SONETTO II.


O poca nostra nobiltà di sangue,
     Che da’ Padri quaggiuso origin prende!
     Oual vecchia fiamma si consuma, e langue
     4S’un novello splendor non la raccende.
Insidiator, qual sotto l’erba l’angue.
     Il tempo ognora debile la rende,
     E sì si muore senza spirto, e esangue:
     8Che non dal Cielo la sua vita prende.
O Padre nostro, che ne’ cieli stai,
     E che il Padre primier formasti in pria
     Ogni padre terren vinci d’assai.
12A te sospira l’alma, e te desia,
     E ritornar dopo i terrestri guai
     Spera all’eterna sua Patria natia.


SONETTO III.


Città quì non abbiam stabile e ferma;
     Nella città di Dio son nostri onori.
     Da cui guerra, e tumulto alberga fuori,
     4Dalle nostre follie e scevra, ed erma.
Ma non rimira nostra mente inferma
     Altro che oggetti di terrestri amori:
     Ne si levan dal fango i nostri cuori:
     8Sulla terra il pensier s’affissa, e ferma .
Al Cielo, al Cielo, o alma; le divine
     Doti adora del tuo Padre celeste
     Colle ginocchia della mente inchine.
12E chi tra queste forti aspre . tempeste
     Fuor che il Padre del Ciel, e in queste spine.
     Di speranza di gloria ti riveste?