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riordire que’ fili, ed a tesserli di nuovo. Così con tanto artificio, e per sì lungo iaggio si va a cercare cosa da far comparire le donne ornate e vestite1”.

Maggiore stranezza si vede ancora nella descrizione del Bombice di Coo, per la quale molti con indiscreto rigore lo tacciano, come notò il celebre Ottavio Ferrari fra gli altri2. Ma benchè dir si possa, che talvolta troppo debole fosse nel prestare credenza altrui, io non saprò mai persuadermi, che fosse impostore; imperciocchè, laddove non potè da sè esaminare le cose, ma scrisse standone alle relazioni avute dagli altri, spesso lo accenna: e appunto cosi fa nel Capitolo XXIII. dell’undecimo libro, dove tratta la storia di questi filugelli di Coo da noi qui accennati, cominciando a parlare per detto altrui, come si può chiaramente vedere. L’uso delle vesti, che dal lavoro di cosi fatti animali si traevano, era a’ tempi di Plinio passato agli uomini; ma alle donne erano riserbate quelle di Soria3.

  1. Lib. VI. cap.17.
  2. Octavii Ferrarii de re vestiaria cap. XIX.
  3. Nec puduit has vestes etiam viros levitate usurpare propter onera æstiva: in tantum a lorica gerenda discessere mores. Assiria tamen bombyce adhuc foeminis cedimus. Plin. Lib. XI. cap. 23.