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io a questi di ne la valle di Agnia, io vidi dare una sentenza contra il lusignolo, che sempre mi dolerá.

Ercule. Dimmi come andò quella sentenza.

Esopo. Cantava il lusignolo sopra una quercia. Ebbe ar- dire il cucco di svillaneggiarlo e voler con esso di canto con- tendere. Il lusignolo con suavissima melodia di piú canzoni e varie (come tu sai che sòie) la sua parte cantò: il cucco da l’altra parte con due sole sillabe sempre a una misura fece ancor lui suo strepito. Finito il canto, e la contesa essendo si grande, che iudice li bisognava, a l’asino, il quale ivi vicino udito il lor canto avea, per iudicio ricorseno. Rispose l’asino che piú arte di canto forsi porria avere il lusignolo, ma che a lui il cantar del cucco piú piacea; e cosí il meschin lusi- gnolo la sentenza contra sé riportò.

Ercule. Tu mi fai pur troppo ridere, Esopo. Odi a che iudicio si riduce qualche volta la perizia! Giá suol dirsi in proverbio: «Che ha da far l’asino con la lira?» Perversa cosa è pur per certo che alcun iudichi di quel che non intende. Anche a me ricorda che, combattendo io con l’idra, un gran- chio ebbe ardire di morsicarmi un calcagno: e fumo si pazzi quelli che allora indicavano, che lo dedicorno in cielo e po- sano nel zodiaco, non per altra virtú, se non per aver avuto ardire di pizzicare il piede ad Ercule. Ma lassamo andar questo: la ignoranza di tutte le cose assurde è madre. Altr’omo che te per certo non vorria aver oggi scontrato, però voglio che torni indrieto, ché anch’io vado a la corte e ti farò intro- mettere a la presenza del re, tal che potrai porgere questi toi doni. Perché il re è omo di gran valore e di bona ar- monia composto, e ha incredibile acume di ingegno e di iudicio, non ti dispregiará; anzi in suo contubernio ti riceverá, perché di umanitá e di clemenza precipuamente eccelle.

Esopo. Io son contento venire sotto le tue spalle, benché molti forse mel dissuaderiano. Ma farò come Diomede, che piccolo essendo, sotto il scudo di Aiace, che era grande, andava a la battaglia, si che tutti dui insieme mirabil cose faceano. Ma vedi, Ercule, lassami parlare: non m’interrompere, se non bisogna.