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filotimo 63


intollerabili iniurie che mi fai; ch’io eleggerla piuttosto che per spazzator da forno mi adoperassi, ché con minor indignazione di animo la mia vita passarla, e che tu facessi di me come far sòli, quando azzuffato con Bacco tu sei, che furibondo e sudato nel pavimento mi butti, e qualche volta con li piedi calpestandomi in preda di cani e di topi mi lassi.

Testa. Or dico ben mo’ che torto hai tu! Fin da ora non negarò che qualche tua ragione legata non mi abbia; ma quando da quelle cose che biasmato hai mi ritenessi, non so vedere che iniuria alcuna piú fare ti possa. Perché, come ho detto, io t’ho pure posto ne la cima de la persona mia per ornamento e coperta de la piú nobile parte ch’io abbia, né so che piú tu vogli.

Berretta. Tu mi hai ben posta in capo e volentieri vi stana, ma tu non mi vi lassi stare mai o posare; spesso mi levi e poni e sempre li hai la mano, cavandomi a questo e a quello, e (di che piú mi doglio) senza alcuna differenza di omini e senza alcun iudizio; per la qual cosa io tengo beate le fasce de li egizi e li turbanti de li asiani e le scuffie germaniche, le quali mai per incontramento o presenza di alcun omo da li loro capi sono mosse, ancor che il loro summo re fusse, il quale per terreno lor dio adorano.

Testa. Or dico ben io che tu hai natura difficile, querula e bizzarra, dolendoti di quello di che mai alcun si dolse. Adunque tu biasmi che col cavarmiti di capo io onori li omini?

Berretta. Io non biasmo l’onorare altrui, mi doglio di questo tuo levarmi, senza elezione alcuna, da la mia sedia e dal loco ove mi hai posta, avendo (come tu dici) postomi in quello per onorarmi. E se tu sapessi che cosa è onore, tu intenderesti ch’io iustamente mi doglio.

Testa. Io ’l so troppo che cosa è onore; non è pur cosí diffidi cosa a saperlo.

Berretta. Pare ben cosí a te, che ti credi ogni cosa sapere, e ti persuadi, come tu hai denari, cosí avere ancora