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filotimo 61


pena si può fermare in terra; onde è nato il proverbio: «Tu se’ piú leggero d’una galla». E tu sai che simili cose inutili e vane, di che io mi doglio, che mi fai, sono dal populo chiamate galle. Voglio ancora che tu sappi che da galla è nato un verbo, che si chiama gallare, che altro non vòl dire che insanire et esser pazzo. Appresso, queste penne di grue, di pappagallo, di gazza, che spesso mi ficchi ne la piega, altro non significano che levitá di chi le porta; il perché in proverbio ancora si dice, alcuno «essere piú leggero che una penna».

Testa. Mai piú intesi che cosa fusse galanteria, et hollo caro per certo. Ma ancora ch’io ti concedessi che questo portare di galle e penne dovesse con qualche ragione dispiacere, come cosa senza alcuna valuta e a la gravitá de Tomo al tutto contraria, di questo non voglio che tu parli, ch’io ti faccia portare questi piccoli segni dorati; che certo aresti il torto a biasmarli.

Berretta. Vòi tu ch’io ti dica il vero in poche parole? Quelle idee o figure che ha Tomo ne l’intelletto, quelle manda di fora ne le opere esteriori: si come il pittore e il scultore fanno le imagini e le statue simili a quelle che prima ne la mente avevano concepute, e Tomo savio fa le opere simili a li savi pensieri che prima ne l’intelletto ha avuto. Io credo che similmente tu abbi divisato quel poco di cervello che hai, come sono le divise, le galle e le imprese che tu mi fai portare. Tu sai che li frutti mostrano li arbori e li segnali le balle.

Testa. Per certo a me pare che tu abbi il torto di questo, perché vedemo pure che anche li omini militari le loro imprese e pennacchi ne li eserciti portano, e nondimeno biasmati non sono.

Berretta. E io ti dico che non solum biasmare non si debbeno, anzi per questo di commendazioni son degni; e quando non lo facessino, imputare si potriano, perché non lievi ragioni, ma onorevoli e iuste tale usanza hanno introdotta, de le quali niuna in te milita.