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56 apologo


di odorate polveri e acque ti aspergo, poi nel piú onorato loco ch’io abbia e nel più alto ti pongo.

Berretta. E io vorria prima che nel piú infimo mi avessi posta, ovvero per peduli o per scapini mi avessi deputata o per coperta di quella parte, per la quale le supervacue reliquie fòra si mandano de l’alimento: ché almeno piú queta mia vita seria, né potria mai di iniquitade esser imputata. E queste tue delizie a temine di natura piú molle vorria che tu riservassi.

Testa. Per certo a me pare che abbi in tutto perso il sentimento, a dire che ti rincresca che per loco il capo ti sia deputato; il quale è sedia e casa de la ragione e de lo intelletto e del iudizio, et è in loco conspicuo e veduto da ogni omo; e piú presto di fetidi lochi e occulti vorresti essere coperta.

Berretta. Quando in questo capo quelle cose vi fussino che tu dici e che esser vi doveriano, a me tal loco non gravarla; ma quando considero che dentro alcuna di esse non si trova e che posa alcuna non ho, anzi ora in una foggia, ora in un’altra, ora in un sito, ora in un altro, or giú, or su, senza alcun iudizio mi porti e levi e poni, per certo mi doglio pur troppo, e chiamo felice il pelo caprino che a tappeti e zelleghe deserve, e la canepa e il lino chiamo beati, che per sacchi e calzoni da naviganti si usano, piuttosto che la lana de la quale io fui composta, se ben del vello di Iasone fusse stata tosata.

Testa. Io non intendo questo tuo parlare; o tu sei disperata o tu frenetichi.

Berretta. Freneticar mi pari tu, che hai dentro materia a ciò disposta e fai opera da frenetico; ma pur che in mio danno e vergogna non fusse, poco me ne curaria.

Testa. Tu mi fai per certo parer un’altra ch’io non sono, o io non intendo te. Fammi una grazia: parla piú chiaro.

Berretta. Io farò peggio: perché s’io ti vorrò parlar chiaro, non cessarò, misera! di dirti il vero, e tu, non usata a tal ragione, ti adirerai e sopra un desco impoiverito, come si usa ne l’ira, ovver nel fango per furore mi butterai.