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SCENA IV

Ruben, Iuda e li altri fratelli.

Ruben.   Io non ho ardire a riguardare il cielo!

Quando io ricordo il nostro fallo antico,
piú freddo ho drento al cor che neve o gelo.
     lllDA. Anch’io, Rubén, il simile ti dico.
Non ho vena, nè polso che si senta:
quanto piú vo’ parlar, la lingua intrico.
Dan.   Sai tu, Iuda, quel ch’ora mi rammenta?
Ti ricordi li insomni ch’el faceva,
quali a pensarli adesso mi spaventa:
     quando in sua puerizia lui diceva
che insomniava che le nostre cove
la sua onorava? e quando si metteva,
     e che ’l diceva ancor, che non so dove
undici stelle e il sole con la luna
se gl’inchinavano? E però mi move
     a creder, ripensando ben ciascuna
di queste cose, che verificati
son quegli insomni e questa sua fortuna:
     ché a lui ci siamo spesso noi inchinati,
e l’abbiamo adorato per signore.
Secondo i somni, cosí semo andati.
Ruben.   Io mi ricordo che ne féi rumore,
(ché in odio l’avevate allora a torto)
cercando mitigar vostro furore.
     Ché questo intender deve ogni omo accorto,
che s’era vero il somnio, mai schivare
noi potevate, se ben fusse morto.
     Cosi Dio l’ha voluto dimostrare,
e in nostro bene infin l’ha rivoltato,
ma noi non ne potrem però escusare.