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     onde per omo savio io ti commendo,

e sempre ti farò il dovuto onore:
cosí infinite grazie ancor ti rendo.
Ioseph.   Coppier, tu vedi bene in qual squallore
di career tu mi lassi, e pòi vedere
per molti segni ch’io non so’ in errore:
     ti prego che per me tu vogli avere
quel di che ti pregai ne la memoria,
e al fatto mio tu vogli provvedere.
     Ché ’l avvien spesso quando l’omo è in gloria,
che i miseri non cura, anzi scancella
il ricordar l’onore e la vittoria;
     non dee però nissun che in grado eccella
il benefizio mai dimenticarse,
ché chi ’l fa, ingrato col dover s’appella.
     Non credo che sii tal, ma dir mi parse
mo quattro di e anch’oggi tal sermone
acciò che possa meglio ricordarse:
     supplica e prega il gran re Faraone
ch’abbia pietá di me, che so’ innocente,
e non mi lassi qui piú in tal prigione.
     Assai vorria ancor dir, c’ho ne la mente,
ma tener piú sospeso non ti voglio,
ché andar desidri et è conveniente:
     e conosco che ’l tempo ora ti toglio.
Ma va’ felice e sano, in la bon’ora;
se fastidio t’ho dato, io me ne doglio.
Coppiero.   Tua compagnia, Ioseph, m’è stata ognora
si grata e si suave e tanto amena,
che non mi dòl con te mai far dimora.
     D’ingratitudin non ho pel né vena,
e sempre arò nel core il benefizio
che fatto m’hai fin ch’io son stato in pena.
     Son certo di tornar col re al mio offizio,
e, come io soglio, in sua domestichezza,
perché di questo n’ho giá certo indizio: