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che figlioli ti siamo e reverenti,
forsi che ’l tuo dolor mitigherai.
Iacob. Figlioli, se voi séte obedienti,
di consolarmi voi non parlarete:
basta che nel dolermi io mi contenti.
Il dolersi, io non so se vo’ ’l sapete,
sòl dar conforto ai miseri e vaghezza:
lassatemi doler, se voi volete.
Il pianto, il lacrimar è mia dolcezza:
da questo prender voglio il mio conforto,
questo fia il cibo de la mia vecchiezza.
Ruben. Faremmo a la natura noi gran torto
di non ti consolar con la ragione,
se ben Ioseph per sua disgrazia è morto.
Se de le cose umane hai cognizione,
come certo hai per longa esperienza,
debbi anco aver la vera opinione,
che ai casi umani non è sapienza
che basti a provvedere: onde se avvengono,
rimedio altro non gli è che pazienza.
Iacob. Pazienza ha ciascun se i casi vengono,
perché far altro par che non si possa:
ma non per questo dal dolor s’astengono.
Quel mio dolce figliol, mia carne et ossa,
s’io il potessi acquistar, porria da parte
la pazienza: or no, ch’io non ho possa.
Ognun a l’util suo sempre ha qualch’arte,
e sempre ai propri affetti ogni omo è intento,
e da sé il mal quanto piú pò diparte.
Se a tutto quel che avvien provvedimento
potesse Pomo far, non seria il nome
di pazienza, e causa di lamento;
ma perché Pomo ha ’l male, e non sa come
disvilupparsi, mai ’l cor suo si volta
a pazienza et a portar sue some.