Pagina:Collenuccio, Pandolfo – Operette morali, Poesie latine e volgari, 1929 – BEIC 1788337.djvu/181

     Però convien che d’altri gli sia impresso

il vero ne la mente e quel che ’l dice
bisogna il dica chiaro e ben espresso.
     Ecco ch’io’l vedo lá. Padre infelice,
ché siam diece figlioli e congiuriamo
ciascuno ad ingannarlo, e pur non lice!
     Dio voglia che la pena non portiamo!

SCENA IV

Ruben con li altri nove fratelli, sono venuti per confortare Iacob suo padre.

Ruben.   A te con reverenza c’inchiniamo,

diletto padre nostro e reverendo,
e debita salute ti rendiamo.
Iacob.   Dolor, miseria, non salute intendo.
Ben volentier vi vedo, ma salute
esser piú in me non pò: questo comprendo.
Ruben.   Padre, noi ti preghiam che non rifiute
il nostro salutar: ti fia amorevole.
Cosi il nostro gran Dio ti salvi e aiute!
Iacob.   Com’esser pò piú in me cosa amorevole,
che il mio Ioseph ho perso, il mio diletto,
che m’era solo tenero e amorevole?
     Dio grande, immortale e benedetto,
laudato pur sia sempre, ma Ioseppe,
che piú non gli è, mi cava il cor del petto.
     Diletto figliol mio, che tanto seppe
temermi, amarmi e seguitar mia voglia,
che dispiacer da lui mai non receppe!
Ruben.   Avemo inteso, padre, la tua doglia,
e il lacrimar continuo che tu fai,
ch’esser non pò ch’ancor a noi non doglia: