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     Ma questa vesta mia vo’ ben squarciare,

che a la fera novella meco è stata:
non voglio questa vesta piú portare.
     Ma d’un aspro cilicio circundata
vo’ che sia la mia carne, fin che incenere
per morte, che m’è stata troppo ingrata,
     poi che m’ha tolto quelle membra tenere:
queste seran di lor l’ultime esequie,
e star dolente nel cilicio, e cenere.
Sopher.   Non vo’ che ’l spirto mio pigli piú requie,
non vo’ dare al mio fallo perdonanza,
quest’animo non voglio che piú requie;
     poi che ho commesso tanta disleanza,
che a questo pover vecchio infortunato
arò posto il dolor sempre in usanza.
     Qual cagione m’ha indutto a aver pigliato
l’impresa di portar nova si acerba,
farmi compagno de l’altrui peccato?
     Non era il meglio starmi lá tra l’erba
con le mie pecorelle, ove da colpa
l’anima alquanto libera si serba?
     La conscienza istessa ora m’incolpa
che ho dato al meschin padre tanto affanno:
il dolere o il pentirmi non mi escolpa.
     E l’ho fatto con fraude e con inganno,
per compiacere a quei miser fratelli,
che son stati cagion di tanto danno.
     O Dio immortai, ti prego non in’appelli
di questo fallo mio nel tuo iudizio,
non mandar sopra me iusti flagelli!
     ch’io sento nel mio cor tanto supplizio
del dolor di Iacob e del suo pianto
pel figliol perso, e poi del mio flagizio,
     che temo e son commosso tutto quanto
et altro che dolermi non farò.
Perdonami, Signor mio iusto e santo:
     mai piú contento al mondo viverò