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     Udite, fratei mei, quali eran li atti,

che mi parea veder: io mi pensava
che i gran dei campi ancor non eran tratti,
     e le lor cove ognun di noi ligava.
Poi, stando l’altre cove in terra stese,
la mia per prima in piedi si levava,
     poi l’altre vostre; e allora, come accese
di reverenza, intorno a la mia stando,
ad adorarla tutte eran cortese.
Dan.   Vedete quel che va costui parlando!
Di’ poi che invidia et odio sian cagione,
e non tal cose, ch’el va seminando!
     Vorresti mai con questo tuo sermone
dir ch’esser signor nostro ancor dovessi,
e subiugarci a la tua devozione?
Ioseph.   Essendo ancor dal sonno i sensi oppressi,
vidi un insomnio ancor di cose belle.
E’ mi parea vedere chiari e espressi
     il sol, la luna e undici altre stelle,
che m’adoravan con sua ardente face,
si come alcun s’adora quando eccelle.
Iacob.   Insomni pur ciascun come gli piace!
Voi, mei figlioli, al cammin vostro andate
in hon viaggio, e con guadagno e pace.
Ruben.   A Dio ti lassam, padre. Or non curate,
fratei, vi prego, questo van sognare,
ch’è d’un fanciullo, se voi ben mirate.
     Andiam pur presto noi, si che arrivare
possiam li armenti e ritrovar bon loco,
dove noi li possiam ben pascolare.
Iacob.   Fatti in qua inanti, Isepe, dimmi un poco,
questo insomnio c’hai fatto che vói dire?
è vero insomnio, oppur detto da gioco?
     Non curar da qui inanti riferire
simili insomni, che arrecar ti ponno
invidia et odio, che son da fuggire.