Pagina:Collenuccio, Pandolfo – Operette morali, Poesie latine e volgari, 1929 – BEIC 1788337.djvu/106

le monizioni, le pene e tante cose publiche e private indutte sono. Quelli omini adunque, che a la commune utilitá de la vita si sono dilettati in qualche modo giovare, qual per un sentiero, qual per un altro sforzati si sono persuadere e mostrare il modo onde da tali mancamenti retrarsi; ma come ardua e diffidi cosa, si per sua natura come anco per indisposizione de le umane menti, la piú parte de li mortali a’ lor precetti renitenti e contumaci esser si vedeno. Il che vedendo il nostro Esopo, una facile, dolce e naturai via, si come l’asprezza de la medicina con la dolcezza del mèle si tempra, par che trovato abbia di questi suavissimi soi frutti apologi: che con umili modi di veri esempli ad esser gustati invitano, e poi teneramente inducono chi lor gusta a purgare e polire li lor specchi e al primo suo splendore ridurli; acciò che purificati quelli le vere imagini referendo, quelle due antiquissime sorelle Virtú e Veritá, le quali esso per li dui «V V» designar volle, ne l’anima si presentino e cosí al suo principio felicemente la rendino.

. O re degno di eterna memoria, o veramente fecondo, o fortunato ingegno! Veramente se io avessi avuto nel petto quella fenestrella che poco inanzi Plauto diceva, e tu m’avessi di drento mirato, non so se meglio aresti potuto il mio concetto risolvere. Onde quanto piú posso, Ercule, ti ringrazio che a le mani di tal re m’abbi condutto.

Re. Non vana adunque, non lieve cosa li apologi sono, amici mei: il perché laudo che ciascuno, a bon’ora e sin che ha tempo, la sua dispensa di quelli riempia e quelli con diligenza sempre usi e adopri, se mai gustar parte di vera felicitá desidera. Et io, Esopo mio, voglio che da qui inanzi meco domesticamente conversi e a le festive mie cene, le quali ne’ piú secreti lochi solitariamente apparecchio, ancora tu insieme con l’altra ornata compagnia ti ritrovi...