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Luciano. Non ti dissi io, o re, costui esser filosofo? A me par certo che meglio non aria potuto l’oracolo delfico rispondere, perché vedemo tutte le fatiche umane per il gua- dagno farsi, e l’orno naturalmente sempre a lo acquistare essere inclinato.

Re. Saporito omo per certo è costui. Come in poche parole le nostre questioni ha risoluto! Una cosa resta mi di- chiari: a che sono boni e come si usano questi toi frutti apologi che mi hai donato?

Esopo. Tu, Signore, e con la scorza e senza, a tuo modo e in ogni tempo usar li pòi, ché per naturai dote e longa esperienza sei di ogni parte sano. E però quanto per te sia, ad altro non bisogna ti giovino, salvo che la sanitá con suave gusto e solido piacere ti conserveranno. Ma li toi familiari e ministri, che tanta esperienza e dono dal ciel non hanno, ad altro usare non li deveno né possono, che a purgare e a brunire li loro specchi, li quali netti e bruniti che siano, per- spicuamente vederanno quelli dui «V V», li quali tu ora possiedi: e allora essendo, come tu ora, sanati, ne potranno con.voluttá gustare e l’acquistata sanitá mantenere.

Re. Questa non è favola, Esopo, di castagna o di volpe. Chiaramente consento che tu hai sentimento di savio, e ora questi tuoi apologi accetto di bon core e affermo che piu util frutto universalmente non si usa.

Luciano. Io, o re, con molti savi ho praticato, in tanto che una volta io ne vendetti una mandria per pochi denari, e ho veduto assai del mondo e insino con Caronte, infernal dio, ho giá avuto commercio, e s’io dicessi con Giove ancora, non mentiria; et èrami bastato l’animo (come tu sai) fare de la mosca un elefante. Ma questa risposta di Esopo confesso che interpretar non la sapria.

Plauto. Il simile dico io. Ho parlato con Giove e con Mercurio, e holli avuti in casa, e ho fatto discendere da cielo in terra Arcturo, che mai piú né prima né poi dal ciel si mosse, e ho praticato tutte le sorte de li omini: e questa risposta l’animo non mi basta di intenderla. Dichiarala tu, Esopo, ché te ne pregamo.