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ti prego non l’aver per male, se nel dimandarti curioso troppo 10 ti paressi, e se non cosí presto a dir mia intenzione con te discendo; perché la tua presenza ad ogni puro fisionomo pare che indicar voglia che i toi costumi alquanto altieri e intrattabili siano.

Esopo. La volpe una volta, o re, col pardo in iudicio contendeva, affermando che piú variata assai era di lui. De la qual cosa maravigliandosi li circunstanti e il magistrato in- sieme, perché la varietá del pardo da la sua pelle manifesta appariva, la volpe al iudice ricordò che drento mirasse, non la pelle di fora guardasse.

Re. Per Giove, costui si sente!

Plauto. Anche il mio Mercurio, o re, Sosia pareva, e non era giá Sosia. Però seria ben stato (secondo Socrate) che 11 omini per natura avuto avessino una fenestrella nel petto, per la quale potuto avessino, ai bisogni, ne l’intrinseco ancora esser veduti.

Re. Poi che questo non si pò, tentiamo adunque la sa- pienza sua con qualche dimanda, come soleano giá fare in- sieme li savi signori indiani con quelli savi re de li egizi. Dimmi, Esopo, e in una parola a le mie dimande rispondi. Qual’è quella cosa che sopra tutte le altre è fortissima?

Esopo. La necessitá.

Re. Non dice mal per certo.

Plauto. E io credo che cosí sia, perché la necessitá mai non fu vinta, né anche da li figlioli di Giove.

Re. Mo dimmi ancora, qual’è quella cosa che ad eccitar li ingegni è potentissima?

Esopo. 11 favore.

Luciano. Piú vera cosa dir non potria, e certo cosí deve essere, perché il favore, non che altro, ma fa che li omini mortali sono chiamati dèi.

Re. Di una terza adunque interrogarti pur voglio. Quale è quella cosa che è piú che l’altre efficacissima a far che la fatica non incresca?

Esopo. Il guadagno. P. Collknuccio, Opere - n. 7