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Esopo. Io farò l’uno e l’altro che ne tocchi a me. Una volta andò al mercato un cuoco e molti dinari spese in busie di piú sorte, e con spezie, zuccaro e agresto e altri condi- menti le mise al foco per farne una vivanda al patrone. Quando le vòlse portare in tavola, minestrò fumo. Èrcole. Ah ah ah, tu mi fai schioppar di riso! Io ti voglio basare, Esopo: non potria dire il diletto ch’io prendo di questo tuo parlare. Io delibero che non ti parti mai da me. Non ti dar pensiero, ch’io non sappia trarre il pignòlo di questa pigna. Ma ecco che siamo a la corte del re. Metti il destro piede inanzi e recomandati a Primigenia.

Esopo. Io mi recomando a te, Ercule, sotto tutela del quale io vengo. Questa Primigenia io non la conobbi mai.

Ercule. Ella è dea piú potente di me: e però se tu con lei per tua bona sorte non sei ben d’accordo, ancor che tu sia bon sodale e compagno, e ogni cosa per chi tu ami prontamente facci, dubito non perdi l’olio.

Esopo. Vogli pur tu, Ercule: io non ho paura di femine, nondimeno ricordami e insegnami. Ecci via alcuna di voti et orazioni a fletter questa dea? Con che animali e con quali vittime la potrei io placare?

Ercule. Con le pazienze e con le speranze.

Esopo. Oh oh, strani animali! Di questi io ne ho un ar- mento grande, da poter supplire a li sacrifici di mille anni. Lassa fare a me, ch’io ne farò fumar li altari! Ma vedi, Ercule, non mi lassar tu; io voglio sempre esser con te. In- tromettimi pure al re, ché non dubito punto che migliore mi trovará che ne la ciera forse non monstro. Ma ecco ch’io vedo quel portiere, che si importunamente fòra mi spinse.

Ercule. Che fa il re, o Blacico? Seria tempo di salutarlo?

Blacico. Io non so. Questa mattina tempestivamente ri- vide le sue munizioni e li tormenti e machine belliche di bronzo, le quali con summa diligenza e perizia in molta copia ha fatto fabbricare; e ora passeggiando con dui soi cortesani ragiona, Plauto da Sarsina e Luciano da Patrasso.

Esopo. Oh candidissimi omini ! Oh suavissimi compagni !