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in ultimo alienato de la mente e dicendo sempre: — A Fiorenza, a Fiorenza! pigliate Paulo, pigliate Paulo ! — e simil cose che prima ne la fantasia aveva impresse. E il scellerato medico dei denari de’ fiorentini, prezzo del suo sangue, la borsa riempiette. Altri negano questa istoria: noi ne l’arbitrio di chi leggerá, il credere o il non credere lasciaremo.

Giovanna duchessa di Sterlich, detta poi seconda, sorella di Ladislao, di casa di Durazzo e del sangue di Francia, erede e regina dappo’ lui nel regno di Napoli ne l’anno 1414, rimase con tutto lo stato pacifico e con gran numero di gente d’arme; però che a la morte del fratello si ritrovò avere sedici mila cavalli di numero, che sotto ottimi capitani di quel tempo con varie condotte erano governati. Questi erano Sforza, primo di tutti, Lorenzo e Michele, detto poi Micheletto, tutti de li Attendoli da Cotignola: Iacopo Caldora detto qualche volta Iacopuccio, il conte di Mondorisio, il conte di Troia, il conte di Carrara, Ciccolino da Perosa, Giulio Cesare e Fabrizio da Capua fratelli. Essendo adunque appena stabilita nel regno, tutto il governo di sé, de la corte e del regno pose in mano a Pandolfello Alopo napolitano, conte camerlengo, bellissimo giovine e suo creato, il quale lei sommamente amava; e avendolo menato con seco quando andò a marito al duca di Sterlich, morto il duca il rimenò a Napoli e sempre lo tenne con pubblica infamia di venereo commercio con lui. Conoscendo la regina tal fama e la invidia cortegiana che era a Pandolfello portata, deliberò per ammorzarla pigliar marito; et essendoli molti proposti, elesse Iacomo di Nerbona provenzale, conte de la Marcia e di stirpe regale di Francia ancor lui, benché in grado di parentela da lei molto lontano, con questa condizione pigliandolo, che titolo non tenesse di re, ma o principe di Taranto o duca o conte (a suo arbitrio) si chiamasse: e lui del suo usato titolo di conte fu contento.

Li capitani de la regina e altri baroni del regno, che a Pandolfello e a Sforza, come piú accetti a la regina, invidia e odio portavano, feceno intendere al conte Iacomo che venisse