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diede a Sforza Cotignola per quattordici mila ducati, che li era debitore per suoi stipendi, facendone conte lui e li suoi successori.

Questo fine ebbe l’impresa di Luigi II duca di Angiò, il quale mai piú poi tornò in Italia, avendosi lasciato per ignoranza o per viltá tórre di mano una tanta vittoria, quanta avevano li suoi valorosamente acquistata. [Scrive però l’arcivescovo di Fiorenza ne la terza parte de le sue Croniche , nel titolo XXII circa li atti del concilio di Constanza, che si dice che in quel concilio si concesse le bolle del regno di Puglia a questo Luigi II e a’ suoi successori, di poterne andare a possedere il detto regno di Puglia e di Napoli].

Ladislao rimasto libero e nel suo stato integro dominatore, essendo di natura inquieto e bellicoso e di niuna cosa tanto vago quanto de le imprese militari, deliberato aveva in tutto recuperare Roma; e parendoli non lo poter fare finché non aveva Paulo Ursino suo ribelle ne le mani, li mise Sforza suo inimico a la coda, il quale seguitandolo ne la Marca, in fine lo assediò ne la Rocca Contrada. La qual cosa come Ladislao intese, subito con l’esercito andò a Roma e con favore de li usciti romani e di altri partigiani che aveva dentro, rotte con industria le mura in parecchi lochi, ne l’anno 1413 entrò in Roma, riducendola al suo dominio come aveva prima. Mise a saccomanno tutte le robbe de’ mercatanti fiorentini che si trovorno in Roma, poi li lasciò viceré il conte di Troia giá detto e lui tornò a Napoli, ove per pratica di Sforza fece suo generale capitano ne l’imprese di Romagna il marchese Nicolò da Este di inclita memoria, signor di Ferrara; e mandògli il bastone del capitanato insino a Ferrara, con trenta mila ducati di prestanza.

Voltandosi poi a le cose del Ducato e di Toscana, come uomo avidissimo di stati, passò nel Ducato e campeggiò Foligno e Todi, benché non li acquistasse; e fece pigliare Paulo L T rsino, il quale poco innanzi rappacificato aveva condotto a li suoi stipendi. Poi tornò a stanziare a Perosa, ove stando, li fiorentini, di chi lui era perpetuo inimico, dubitando de la P. Co li.en uccio, Opere - 1. 15