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reame. Papa Giovanni ancor lui venne a Roma, benché si fermasse alquanto di fuora, dubitando ancora di movimenti per li partigiani del re Ladislao. In questo mezzo Paulo Ursino e Sforza da Cotignola, il quale era rimasto libero da’ fiorentini e fatto capitano di papa Giovanni, andorono con tutti li suoi a unirsi col re Luigi a Ceperano. Il re Ladislao era alloggiato sotto Roccasecca, tra Ponte Corvo, Sant’Angelo e San Germano. Onde il re Luigi fece consiglio di quello si avea a fare, e variando le sentenze, finalmente per consiglio di Sforza fu concluso che si dovesse andar a trovare il re Ladislao e far fatto d’arme; cosi a li 25 di maggio partirono da Ceperano, facendo antiguardia Sforza, il quale fu il primo a passare il fiume a guazzo a Ponte Corvo, e a li di 26 trovorono il re Ladislao, il quale animosamente in battaglia sotto Roccasecca li aspettava.

Erano tra li altri condottieri di Ladislao messer Betto ammiraglio, il Bracca da Viterbo, il conte di Policastro, il conte di Campobasso, il conte di Oliveto, Zanin da la Trezza, messer Malacarne e Daniel da Castello. Il re Ladislao, poi che ebbe posto ognuno a l’ordine suo, tolse messer Giovanni Caracciolo, conte di Avellino, e sei altri gentiluomini con lui, e tutti sette li fece cavalieri e vestilli tutti ad un modo a la divisa sua propria, talmente che loro dal re non erano conosciuti, anzi ciascuno di loro pareva il re; e ogni volta che mandava fuora una squadra mandava con essa uno di questi cavalieri, in modo che pareva che con ciascuna di esse fusse la persona del re. In fine il fatto d’arme si cominciò dal canto del re Luigi e toccò a Sforza essere il primo assaltatore, il quale essendo sopra un possente cavallo chiamato il Cervo (il quale da niuno si lasciava maneggiare, eccetto da un solo ragazzo) appicciò con grande impeto la mischia. Cosi seguitorno poi li altri di mano in mano da l’una e l’altra parte con grandissima virtú da ogni canto, si che difficilmente si conoscea chi fusse superiore; e li dui re con le persone loro francamente combattendo e governando non lasciorno di far prova alcuna che a generoso signore convenisse.