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nel detto anno 1372, ne furono fatte pubbliche e autentiche scritture e instrumenti: e fu la prima origine de le ragioni che pretendette sempre, e ancor pretende, la seconda linea de la casa di Angiò nel reame di Napoli, si come piú chiaramente innanzi dimonstraremo. Le quali cose fatte e fermate, la regina Giovanna tornò a Napoli.

Continuando in questo mezzo Urbano, a privazione de la regina Giovanna, ne la opinione di volere investire di quel regno Carlo di Durazzo, sollecitava suoi messi e lettere in Ungaria a re Lodovico per tal materia. Era in quel tempo Carlo di Durazzo con un grosso esercito di ungari nel territorio di Treviso, mandato dal prefato re Lodovico collegato con genovesi e con il signore di Padoa contra veneziani: onde certificato di ogni cosa dal re e anche da un ambasciatore proprio, il quale Urbano li mandò insino a Padoa, ove allora si trovava la persona sua, avido di vendicare la morte di Carlo suo padre e di Andreasso, i quali per cagion de la regina erano si mal capitati, e appresso desideroso di acquistare il regno debito al suo sangue, accettò senza pensarvi questa impresa e lasciò subito quella di Treviso. E tutto il suo pensiero scoperse a li oratori veneziani, che allora erano con lui; e sotto pretesto di volere andare in Ungaria per trattar pace, con tanta celeritá si parti, che non aspettò che la Piave, fiume del Trevisano allora ingrossato, calasse, ma si mise a passarlo con danno di circa ottanta de li suoi, che in esso s’annegorno. Lui adunque passò in Ungaria a mettersi in ordine e verso Toscana inviò con li suoi ungari e altra gente un suo capitano, detto Giannotto da Salerno. I veneziani, non avendo piú bisogno di gente in Trevisana, poiché l’inimico d’accordo era partito, cassorno il conte Alberico da Barbiano lor capitano e un Ferrebach todesco, che con lui era con quattrocento uomini d’arme, li quali ridottisi in Romagna furono condotti da Giannotto al stipendio di Carlo di Durazzo suo signore; e Giannotto giunto ad Arimino, di li passò l’Apennino e andò nel territorio di Siena e li si fermò, riscotendo denari da senesi e da pisani e da lucchesi, i quali per non esser vessati