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pose in prigione, ove li tenne un anno in deliberare quello avesse a far di loro. Fece poi convocare a Napoli tutti li sindici de le prime cittá del reame, e fatto un generai consiglio, volse il parere di tutti circa quello si avesse a fare di Corradino; e tutti, e specialmente quelli di Napoli, Capua e Salerno, consultorno che Corradino fusse morto: benché sia chi scriva che il consiglio fu dato secondo che volse il re Carlo che si désse. Scrive ancor Enrico Gundelfinger constanzense ne le Croniche d’Austria , che il re Carlo consultò papa Clemente quello avesse a fare di Corradino e che Clemente li rispose queste parole: Vita Conradini rnors Caroli, mors Conradini vita Caroli, cioè: la vita di Corradino è la morte di Carlo e la morte di Corradino è la vita di Carlo. Li baroni e gentiluomini francesi in niun modo volseno prestare assenso nel consiglio a questa morte; e specialmente il conte di Fiandra genero di Carlo, il quale era tutto generoso, fieramente se li contrappose, dicendo che a un giovine di si nobil sangue in niun modo era da dar la morte, ma si doveva liberare e farlo amico, con fare parentado con lui. Cosi giudicorno molte gentil persone, che avevano l’animo libero da passione: in fine prevalse la sentenza de la morte.

L’anno sequente adunque la cattura, a di 26 di ottobre, furono distese in terra coperte di velluto cremisino nel mercato di Napoli, nel loco dove poi fu posta una colonna davanti a la chiesa del Carmine, la quale la madre di Corradino per sua memoria fece poi edificare. E li furono menati sopra li panni distesi Corradino e il duca d’Austria e il conte Gerardo da Pisa, che fu capitano de’ toscani ne la battaglia, e un cavaliero todesco pur preso in battaglia, chiamato Urnaiso, e don Enrico di Castiglia. Appresso questi furono menati ancora quattro, Riccardo Rebursa, Giovanni da la Grutta, Marino Capeccio e Ruggiero Busso, in grandissima frequenza di popolo, non solo di napolitani e francesi, ma di tutte le terre vicine, che erano concorse a si crudele spettacolo: il quale vide ancora il re Carlo, benché stesse lontano ad una torre, mirando tutto quello si faceva. Montò poi sopra un tribunale