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castello di Sarno e li si fece forte, avendo con sé il conte Gotfredo, fratello di sua madre, di chi molto si fidava. Gualtiero, inteso che Diepoldo s’era fortificato in Sarno, li andò con l’esercito e strettamente lo assediò standoli intorno piú tempo; per la qual cosa vedendo Diepoldo esser mal condotto e la potenza di Gualtiero ogni ora aumentarsi, deliberò, come uomo disperato, provar sua ventura. 11 perché saltato fuora del castello a l’improvviso una mattina in su l’aurora con cento cavalli e altri tanti a piedi, con grande impeto assaltò il campo de li inimici, e inviatosi al pavaglione di Gualtiero, lo trovò che ancora in letto giaceva nudo, onde levatosi al rumore Gualtiero, volendosi armare e giá posto le braccia ne le maniche de la panziera per vestirsela e ridottosela in capo, li fu tagliato le corde del pavaglione, che li cadde addosso: onde inviluppato da la panziera non ancor vestita, e da la caduta del pavaglione, ferito di piú colpi, rimase prigione. L’esercito suo, che morto lo stimavano, si mise in fuga, il perché a suo bell’agio Diepoldo scoperto il pavaglione, con alcuni altri presi lo condusse in Sarno e con buona guardia in una camera lo pose, dandoli in compagnia un suo cameriere che con lui era stato preso, chiamato Ranaldo da Lesena: poi fatto venire medici da Salerno, comandò che con ogni diligenza fusse curato.

Standosi Gualtiero in questa forma in prigione, andò un giorno Diepoldo a visitarlo e dappoi diversi ragionamenti li disse di volerlo cavare di prigione e oltra questo restituirli il regno, ma voleva che lui li confermasse li stati che ’l teneva e che gliene faria omaggio e saria suo feudatario. Gualtiero che piú cuore e piú orgoglio aveva che in quel tempo non bisognava, li rispose che non era al mondo bene od onor si grande, che lui volesse avere per mano di si vile uomo, come esso era.

Diepoldo forte adirato per simili parole, ritrovandosi in mano un picciolo coltellino da temperar penne, con lo quale si tagliava le unghie, con quello se li buttò al viso con amaro volto e parole, dicendo: — Malvagio uomo e cattivo che voi