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capitolo primo | 47 |
Forse anche il Mazzini fu in parte, ma in parte soltanto, visionario e idealista, ma anche per lui c’è l’assoluzione che deriva dalla santità del fine cui quelle idealità erano rivolte, e che attraverso a quelle visioni egli intravedeva e vagheggiava: ad ogni modo è indubitato che il Mazzini fu e resta - non ostante la mediocrità di cui l’avevano gratificato il Farini, il D’Azeglio, il Bianchi-Giovini, il Gualterio ed il Gioberti - una delle più alte e onorande personalità della storia dell’italiano risorgimento.
I giobertiani, dunque, e i mazziniani erano, nel 1846, fra i tanti manipoli in cui si suddividevano i liberali italiani, i due partiti più numerosi, più ordinati e più forti della penisola, in ogni più riposto angolo della quale essi avevan seguaci, devoti alle idee e alle dottrine de’ loro maestri. Giobertiani e mazziniani formavano, a quei dì, le due grandi correnti del liberalismo italiano, e nel bacino dell’una e dell’altra esistevano correnti minori, più o meno affini all’una o all’altra, le quali, a un dato momento, diverrebbero, per necessità, affluenti o dell’una o dell’altra, secondo le maggiori o minori afflnità che, con l’una o con l’altra, avevano; cosi la corrente veneziana del Manin, la genovese del Campanella e dell’Avezzana, la lombarda del Cattaneo e dell’Anelli, la toscana del Guerrazzi e del Montanelli, la romana dello Sterbini e del Canino, la napoletana del Saliceti, affluirebbero, a mano a mano, in seguito, nella grande corrente delle idee mazziniane, mentre le correnti piemontesi del Balbo, del D’Azeglio e del Durando, e più tardi anche le democratiche del Rattazzi, del Sineo e del Valerio; le lombarde del Casati, del Litta, del Porro, del Giulini; la toscana del Capponi, del Salvagnoli, del Giusti; la romagnola del Minghetti, del Farini, dell’Audinot, e la romana dell’Orioli e del Lunati finirebbero per confondere le loro acque con quelle della poderosa corrente giobertiana.
Tali erano le condizioni degli Stati e delle popolazioni d’Italia, questa la situazione delle sètte e dei partiti, cosi fatto l’ambiente, e in tal guisa stavano le cose, quando il 16 giugno 1846, dopo tre soli giorni di conclave, i cardinali di santa romana Chiesa, eleggevano, con trentasei suffragi, su quarantanove votanti, a successore di Gregorio XVI il cardinale Gio-