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526 | ciceruacchio e don pirlone |
del Corpo civico mobilizzato, delle opinioni e delle tendenze prevalenti, alle quali partecipiamo, e cioè ci sentiamo in grado di dare una direziona E 80I0 dello stato morale ci fermiamo a parlare, perchè l’Eccellenza vostra comprende più di ogni altro che il contingente della Civica che Sua Santità si è degnato consentire alla lega, può, messo in opera, avere forza grandissima, ma questa è indivisibile dalla sua moral condizione.
Siamo partiti da Roma, e ci manteniamo in questa opinione che il nostro amatissimo Sovrano, nell’alta sua qualità, sia il supremo moderatore della lega italiana, e Carlo Alberto il principale organo d*azione, o, per usare delle sue stesse parole, la spada di Pio IX, quindi generale in capo delle forze che devono cooperare all’indipendenza italiana, affine di concentrare il potere dell’azione militare in una sola mano. Le convenienze della Lombardia debbono tacere innanzi a questa imperiosa necessità^ ed il Veneto, troppo esposto, non può non sentirla anch’egli nella guerra che sembra prepararsi lunga. Noi diciam questo senza temere la taccia di soverchia deferenza al re Carlo Alberto, perchè siamo sicuri che la supremazia politica di Pio IK non può venire in alcun modo depressa e perchè d’altra parte veggiamo che l’azione di forze separate e indebolite ci farebbe ritornare alle passate sventure, e chiamerebbe un’intervenzione francese, flagello da temersi anche più delle barbarie tedesche.
Napoli e la Toscana, colla parola aperta dei loro Sovrani, hanno lealmente dichiarato di dare il loro contingente di forze alla causa di Lombardia, e il Governo toscano, nell’atto di far varcare il Po alle sue truppe, le ha messe sotto il comando di colui, nelle cui mani è concentrato il potere esecutivo militare (re Carlo Alberto). Il nostro adorato Pontefice ha dato a tutto questo movimento il nome ed il vigore d’una crociata, e resa sacra la guerra, le ha dato quell’elemento che la rende invincibile; ma lo slancio dell’opinione potrebbe affievolirsi invece di crescere, com’è necessario, se nel momento più decisivo, che è quello di passare il Po, non ricevesse una solenne sanzione dal Pontefice con alcune di quelle parole che decidono della sorte dei popoli. Intanto, bisogna dirlo chiaro, il nostro Governo, che moralmente ha contribuito più degli altri (mentre ogni cosa si è fatta nel nome di Roma), è poi rimasto inferiore agli altri nella solennità delle positive dichiarazioni, per modo che a taluno potrebbe parere che, per parte sua, non vi fosse se non una tolleranza. Nè è da credere che ciò faccia con plausibili ragioni, per la sua natura contraria alla guerra, mentre questa non può definirsi guerra coll’Austria, ma cooperazione alla lega italiana. E se il pensiero delle conseguenze ritenesse il Governo da questa solenne dichiarazione, bisogna pensare che essendovi il fatto, le conseguenze sarebbero le medesime, colla sola differenza che l’azione accadendo più fredda, sconnessa e debole, si preparerebbe una gran ruina alle cose nostre ed al nostro adorato Principe.
Per quanto dunque noi sentiamo la necessità, passando la linea del Po, di sottoporsi agli ordini di re Carlo Alberto, per tutto ciò che è piano di campagna, vorremmo però che l’esercito pontificio potesse agire unito e compatto sopra un punto determinato. Questo vorrebbe e il decoro delle armi che impugniamo, e l’ardente desiderio che invade tutti i Cuori di aprire una pagina militare nella storia di un popolo circoscritto finora alla toga.
Se le due Divisioni composte, la prima di tutta truppa di linea, la seconda di tutti giovani volonterosi, non avvezzi però ancora al mestiere dell’armi, potessero frammischiarsi fra loro ed agire insieme, in guisa cheTesto piccolo