Pagina:Ciceruacchio e Don Pirlone.djvu/531

524 ciceruacchio e don pirlone

tina. Come sia andata la cosa, ed in quali termini precisi raccordo, niuno conosce, essendo affare misterioso, nè sulle relazioni dei Veneti soli può aversi fede indubitata. Ciò che è certo e che dall’altra mia avrà veduto si è che la destinazione dell’intero nostro esercito era a Padova, che Aglebert promise un tale intervento e che in seguito di ordini ricevuti dal Re, a quello che pare, fu lasciato a noi a compire le promesse, ma non a soddisfare nè le brame, nè i bisognai. Per tale intervento Dorando aveva chiesto 100 mila svanziche, e queste furono dalla Repubblica versate, e rimesse a Durando direttamente. Intanto l’allarme dei Veneti crebbe ogni giorno; un commissario venne a Ferrari con molte lettere di dettagli delle brutalità che commettono gli Austriaci contro vecchi, donne e fanciulli. Il commissario eziandio vide le truppe dei nostri volontari e non li trovò superiori a quello che sono, nè eguali alle promesse di Aglebert. Oggi pertanto la truppa fu riunita ad una rivista dal general Ferrari, e si mostrò poco contenta del suo destino. E non a torto; non si vide mai mandare truppe nuove, senza corredarle di artiglieria e cavalleria sufficiente, nè unirle alle forze di linea. Essendo la campagna sotto Udine in pianura, senza ritirata difesa, esposti lungo lo stradale alle sortite da Verona, mi pare si esponga questa truppa nuova, isolata, non istruita, senza ufficiali esperti, a morte certa, il che non sarebbe stato se dell’intiero esercito si formavano due Divisioni miste. Su ciò i nostri gridavano al tradimento contro Carlo Alberto, che forse non ne sa nulla, ed egualmente dicono i Veneti, dicendo che ama schiacciato in Venezia il principio repubblicano. Assurda cosa; perchè non può Carlo Alberto fare che i Tedeschi estendano sul Mantovano e Padovano il loro dominio, e mantengano libera comunicazione fra le fortezze ed il nuovo esercito croato. Io non credo assolutamente che Carlo Alberto abbia ordinato questa divisione dell’esercito, e la suppongo avvenuta per soddisfare a due esigenze ad un tempo, all’ordine di un superiore, ed alle grida degli spaventati. Io conto, d’accordo con il Generale, correre al quartier generale del Re, abboccarmi privatamente con Corbulé e prendere occasione di riverire Sua Maestà, per esporgli la posizione critica dei nostri, e farmi organo del loro malcontento. L’ufficialità poi ha sentito con dispiacere del contratto con i Veneti, considerandolo come vendita. Essi protestano voler conservare il loro individualismo di soldati pentitici, non voler comparire soldati di ventura, e non servire strumento di repubblica; voler conoscere i termini del contratto, e volere che cousti del consenso governativo e del Piemonte.

Altro desiderio della truppa, consti della volontà del Pontefice con un atto solenne, onde non comparire gente scappata, che. va a fare un brigantaggio fuori di casa. Prevedo su ciò le difficoltà; ma se non constasse solennemente questo, la forza morale andrebbe a diminuire. Ci vorrebbe almeno un atto solenne ministeriale. Dai fogli che manda l’ufficialità superiore vedrà ancor meglio le loro opinioni, e spero che una staffetta potrà recare la risposta sollecitamente.

Mi creda pertanto

Bologna, 23 aprile 1848.
Affezionatissimo e devotissimo servitore
F. A. Gualterio.