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«Il Ministero si dimise; ricorsero alla sovrana giustizia i rappresentanti della guardia civica, del Municipio, dei Circoli e Casini; si chiesero spiegazioni? . . Intanto ieri la guardia civica occupava le porte della città, il forte Sant’Angelo, la polveriera, il Monte, la Zecca: notturne scolte pur vegliarono per impedire la fuga di sospetti personaggi. Oggi il Ministero dimesso riassunse provvisoriamente i portafogli; ma la costernazione, la trepidazione, il malcontento non cessò. Un inganno originò tanta sciagura; il solo disinganno può sperderla; e questo speriamo non sia lontano. Dio protegga l’Italia, protegga i generosi che la difendono, e disperda le insidie dei comuni nemici. L’unione, il consenso incredibile del popolo romano, spiegatosi in questo terribile, inaspettato frangente, francherà Roma dalle insidie, trionferà degli sforzi dell’austro-gesuitismo; l’unione di tutti i prodi Italiani trionferà sui campi di Lombardia delle orde venali dell’oppressore straniero»1.

Ecco quale era il linguaggio del più ardente fra i giornali liberali romani, del giornale che può essere riguardato giustamente come il periodico, a quei giorni, più intimamente vincolata con Ciceruacchio: ecco quale era il linguaggio degli agitatori contro cui levan grave la voce della postuma monitrice sapienza il Farini ed il Minghetti: cosi vigorosamente, lealmente, ma entusiasticamente parlava di Pio IX, a fronte di una grande sventura che colpiva la patria, cosi reverentemente favellava dell’autore dell’Allocuzione - la quale agli occhi dei liberali poteva apparire un vero e proprio tradimento - il più spigliato e radicale dei diari che si pubblicavano allora a Roma: e il linguaggio della Pallade può dare la misura della intonazione degli altri giornali romani.

I quali, se potevano avere un torto, era quello di farsi, consapevoli inconsapevoli, l’eco di tutti coloro che si sforzavano d’illudere sè stessi e gli altri sul valore e sugli effetti, incalcolabili in quel momento, dell’Allocuzione, desiderosi, per amore ardentissimo dell’indipendenza nazionale, di veder continuata la politica degli equivoci, che era il risultato dell’assidua e immanente con-

  1. Pallade, del 1° maggio 1848, n. 232.