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capitolo settimo 405

cibile per non risorger più, sotto il fulmine dell’universale esecrazione. Onta eterna, odio eterno agli ipocriti, ai vili, agli infami cospiratori, che vollero scuotere dalle fondamenta e subissare il meraviglioso edificio di una fama intemerata, ammirata, adorata da tutto il mondo, edificio che asconde la sica sommità nel cielo.

«Gli assalti fatti al cuore di Pio, dalle subdole arti dell’austro-gesuitismo, tornavano tutti vani. Il cuore di Pio è un altare sempre ardente del fuoco d’immensa carità; non è possibile non che spegnerlo, sminuirlo. Quel maestro picchiò alla porta della coscienza mascherato, con le lusinghe forse dell’antico serpente seduttore. Da gran tempo si meditava questo assalto, e si andava agevolando il terreno agli approcci: con accorte brighe si ottenne che la custodia e la chiave di quella si affidasse ad un tale, a tutt’altro idoneo fuorché a reggere la coscienza di un regnante1. Quella coscienza immacolata, incrollabile e veramente angelica fu colpita all’improvviso con lo spavento di uno scisma germanico: scisma inventato . . . Ma su queste tenebrose mene spargerà qualche luce la verità vincitrice. A fronte di una supposta perdita di milioni di credenti non potè reggere l’animo del Pontefice: eccolo, per fatale inganno, per lo stesso suo eroismo, apprestarsi ad ogni sacrifizio: eccolo per poco dimenticare che i suoi prediletti figli sono i suoi sudditi, che la nazione primogenita della Santa Sede è questa Italia . . . Eccolo nel Concistoro di sabato pronunciare una Enciclica, che percosse di stupore tutta Roma, che percuoterà di stupore tutto il mondo. Ecco . . . lamentata non sappiamo quale nostra ingratitudine, deplorati non si sa quali nostri attentati ai beni ecclesiastici, alla buona morale, alla religione, mentre, da altra parte, non si fa menzione della carneficina e dei massacri d’inermi vittime che rigarono di sangue la Lombardia, della profanazione dei templi mantovani, delle imprese dei satelliti di un Radetschy . . . L’animo rifugge dal doloroso racconto di infamate troppo note.


  1. Il giornale romano allude al prete Stella, succeduto nell’ufficio di confessore di Pio IX al compianto e amato abate Graziosi. Il canonico Stella era, secondo l’affermazione del Pianciani, un prete ignorante e dominato dai gesuiti. (Vedi Pianciani, op. cit., tom. II, chap. XXII, pag. 411).