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nistero, in uno Stato costituzionale, implica anzi il debito che incombe al Ministero dimissionario di restare al suo posto, fino a che non venga a surrogarlo il suo successore, giacchè nella esistenza del Governo non v’è e non vi può essere e non vi deve essere soluzione di continuità. E che cosa fecero l’Antonelli, il Recchi, il Minghetti, lo Sturbinetti, il Pasolini, il Simonetti, il Galletti e l’Aldobrandini durante i giorni 30 aprile e 1° e 2 maggio, che cosa fecero per dimostrare alle popolazioni che esisteva ancora e vegliava un Governo? . . . Avrebbero potuto e dovuto rimanere riuniti in permanenza, pubblicare subito un gagliardo e patriottico manifesto che affidasse il popolo, che rassicurasse gli animi, che confortasse i dubbiosi, che incutesse timore nei riottosi, se riottosi v’erano; avrebbero potuto e dovuto raccogliere gli ufficiali superiori della guardia civica, quasi tutti moderati e temperatissimi uomini, e rianimarne l’energia; e avrebbero, infine, potuto e dovuto prendere, man mano, tutte quelle provvisioni che la gravità del caso poteva consigliare o richiedere. E invece? Nulla di tutto ciò; all’infuori di una lettera preparata al Ministero dell’interno, che doveva essere indirizzata al principe Rospigliosi, Generale comandante della guardia civica il 1° maggio e la quale non fu spedita, come è notato nella minuta, che io riproduco fra i documenti1 all’infuori della lieve azione individuale del Simonetti in Campidoglio, per far distribuire alle persone a cui erano indirizzate le lettere intercettate, e del Minghetti e del Pasolini alla posta e a porta del Popolo, per far partire il corriere che era stato fermato, e, all’infuori della notificazione pubblicata, tardi - il 2 maggio - dal Ministro di polizia Galletti, non v’ha atto che accenni alla esistenza di un Governo in Roma, dove, se gravi fatti non avvennero, se ne debbe merito e gratitudine al buon senso e all’animo retto delle guardie civiche e delle moltitudini.

Le quali poi, in fin fine, fecero, come era naturale, molto strepito, ma nessun male; e, in tanta concitazione di passione e in tanto tumulto, durati tre giorni, non si verificò nè un ferimento, nè una uccisione.


  1. Vedi il documento n. 116.