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capitolo settimo 399

leato, anzi il vivificatore di questo oppresso, diviso eppur generoso e non spento popolo italiano; questo Pontefice augusto, adorato e glorificato - e, con lui, sino a un certo punto anche i cardinali Gizzi, Ferretti, Ciacchi, Oppizzoni, Amat, Altieri, Antonelli ed altri - erano stati cullati, per quasi due anni, ed avevano cullato gli altri nel dolce sogno neo-guelfo e giobertiano della redenzione d’Italia per iniziativa del Papa; poi, tutto ad un tratto, Papa e Cardinali si erano svegliati ed avevano, di soprassalto, destato gli altri gridando: torniamo alla realtà, guello non era che un sogno, e il popolo, fin li pasciuto di quelle lusinghe, inebriato di quelle speranze, ora cosi brutalmente riscosso, avrebbe potuto non commuoversi, avrebbe dovuto non sommuoversi ì ... Eh via! . . . La logica storica ammonisce severamente che no: essa presenta, a chiunque le voglia imparzialmente vedere, le legittime ragioni per cui profondo commovimento ed energico sommovimento in tutta Italia, e specialmente in Roma, dopo l’Allocuzione, dovevano esservi e vi furono e lascia, a lor posta, declamare gli storici faziosi, ma non può lasciar passare senza nota le lamentazioni del Minghetti, del Farini e di qualche altro dottrinario, i quali, dando prova di poca conseguenza, dopo avere riconosciuto ed affermato tutto il danno che dalla papale Allocuzione derivava alla causa nazionale, dopo avere anch’essi quell’Allocuzione biasimata, dimostrando come essa fosse al Pontefice inspirata dai nemici d’Italia si querelano, qua e là, per la eccessiva esasperazione popolare; quasi che fosse possibile porre modo preconcetto e compassato, e antiveduta e calcolata compostezza anche nei moti d’ira e di dolore delle moltitudini.

Anzi una cosa - e grave - sarebbe qui da notare dallo storico imparziale e la quale, nè il Farini, nè il Pasolini, nè il Minghetti, così pronti a rilevare i torti di coloro, che essi si piacciono di chiamare gli agitatori, punto non posero in rilievo . . . forse perchè non tornava loro conto il notarla, ed è questa. Che se a colpa di qualcuno possono ascriversi quei tumulti e i lievi disordini che ne scaturirono, sono da ascriversi alla fiacchezza e disavvedutezza dei Ministri rinunciatari: poichè il rinunciare all’ufficio di Ministro non significa punto cessare dall’adempimento dei doveri a quell’ufficio congiunti: la rinuncia dal Mi-