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capitolo settimo 389

trattamento a cui si troveranno esposti i volontari romani, venuti a guerra con gli Austriaci e sconfessati dal Pontefice?

Domanda abbastanza grave, la quale - giova ripeterlo - se la volgevano l’un l’altro parecchie migliaia di cittadini, pensosi dei figli e dei fratelli e che, perciò, non poteva non riuscire ad accrescere lo sdegno e le passioni popolari contro l’Allocuzione, che, già, di per sé, agli occhi dei più appariva, e doveva di necessità apparire, un abbandono, una fuga, un tradimento.

Onde l’agitazione popolare divenne presto fermento e il fermento poco tardò a mutarsi in tumulto.

Ed è naturale che, levatosi.il popolo a rumore - e poiché il rumore aveva origine da una causa politica, - doveva accorrere là dove era il centro degli uomini politici, cioè ai Circoli: onde sono puerili, per non dire sciocche, le querimonie che i Balleydier, i De Saint-Albin, gli Spada ed altri siffatti scrittori papalini muovono su quel naturalissimo raccogliersi della gente agitata nei Circoli. dove mai aveva da accorrere la gente? Forse nei lontani luoghi e disabitati, al bosco della ninfa Egeria, al sepolcro di Cecilia Metella; o forse nella Chiesa di Sant’Ignazio o nella sacrestia di San Pietro?

Lungo la via del Corso, adunque, dinanzi al caffè delle Belle Arti, avanti alle sedi dei Circoli popolare, romano e commerciale, a piazza Colonna si raccoglievano, accese e frementi, le turbe, chiedendo e dando spiegazioni, imprecando, bestemmiando e proponendo i più strani ed opposti partiti.

Dalle sale dei Circoli, piene zeppe di gente, partivano deputazioni inviate ai Ministri e una ne partì, sul mezzodì del 30, composta dei principi Corsini e Doria e del duca di Rignano, spedita al Papa.

La guardia civica, spontaneamente, senza aspettare ordini, si raccoglieva in armi; del che pare vogliano farle carico il Minghetti e il Farini, quasi che in un sommovimento come era quello e dinanzi ad una sventura nazionale quale era quell’inaspettato rivolgimento di sentimenti e di opinioni da parte del Papa, in quei supremi momenti, in cui più che mai ferveva la guerra - sventura di cui essi stessi, il Minghetti e il Farini, non possono non riconoscere la gravità e l’importanza - non fossero