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capitolo sesto 335

zioni molteplici, spesso smodate e quali alla giovanile inconsideratezza sono confacevoli, irrompevano clamorose a Roma, come in ogni città della penisola.

A Napoli il 27 di marzo era stato costituito un nuovo Ministero più liberale, sotto la presidenza dell’illustre storico e letterato Carlo Troja e il Re, in presenza alle quasi quotidiane dimostrazioni popolari, invocanti la partecipazione del Reame napolitano alla guerra santa della nazionale indipendenza, aveva pubblicato il 7 aprile un proclama, nel quale annunziava il suo assentimento a quella guerra e l’invio, già ordinato, di una divisione e di una parte del naviglio per l’alta Italia. È vero che in quel proclama l’ansia e il desiderio della unione interna, alla quale ripetutamente si accennava, rivelavano chiaramente come quella partecipazione di Ferdinando di Borbone alla guerra nazionale italiana fosse un espediente suggerito dalla speranza di veder tornare la Sicilia in soggezione della borbonica dinastia, che il Parlamento siciliano, raccolto a Palermo sul finire di marzo, aveva dichiarata decaduta dal dominio dell’isola, nominando, frattanto, reggente di Sicilia l’ammiraglio Ruggero Settimo, per virtù civili, per esperienza e per canizie uomo onorandissimo. Ma quali che si fossero le ragioni che consigliavano Ferdinando di Borbone a partecipare alla guerra, allora poco importava discuterle: ciò che importava, in quel momento, si era che l’esercito e il naviglio napoletano concorressero efficacemente all’opera dell’italica redenzione.

Già parecchie centinaia di giovani volontari eran partiti da Napoli alla volta della Lombardia; poco più di un centinaio ne eran partiti sotto gli ordini del colonnello La Masa, dalla Sicilia; tremila circa muovevano dalla Toscana verso il Mincio e fra questi andavan segnalati gli studenti delle Università di Pisa e di Siena, capitanati dai loro professori Pilla, Montanelli, Zanetti, Mossotti, Pirla, Ferrucci.

Ai volontari toscani andavan congiunti tremila soldati dell’esercito regolare granducale, avviati anch’essi alla volta della Lombardia.

I Duchi di Parma e di Modena, dopo essere stati devoti agli Austriaci e aver palesato l’animo loro avversissimo al movimento nazionale, alle riforme, alle libertà costituzionali, ora che