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334 | ciceruacchio e don pirlone |
da incrollabile fermezza di propositi, sobrii, pronti ed atti alle fatiche e alle privazioni, esso non aveva un abile, un esperto, un veggente capitano quale era il feld maresciallo Radetscky, che compensava quasi, in quei primi rovesci, con le grandi sue qualità morali ed intellettuali, lo scoraggiamento, le trepidazioni, la demoralizzazione in preda a cui si trovavano, in quel momento, la maggior parte delle sue soldatesche austriache, boeme, croate, ungheresi ed italiane.
Il Re Carlo Alberto, coraggiosissimo personalmente, prode cavaliere, sprezzatore quasi beffardo dei pericoli e della morte, ma incerto, esitante, dubbioso sempre, sempre stretto, in ogni militare sua deliberazione, fra considerazioni di indole politica e diplomatica, non aveva nessuna delle qualità che sono indispensabili a formare il grande capitano e - ciò che era ancora peggio - non aveva, fra i generali di cui più egli si fidava, nessuno che potesse supplire, con le proprie doti di mente e col frutto de’ suoi studi strategici, alle qualità che facevano difetto in lui. E poi si fidava proprio sicuramente di qualcuno il Re Carlo Alberto, che spesso si industriava ad accettare soltanto metà dei consigli che gli venivano dati da un lato, per conciliarli con la metà dei suggerimenti che gli venivano da un altro?
Ed ecco accennate subito le principali ragioni le quali impedirono che, in quella guerra gloriosa e sfortunata, un disegno ben maturato ed ordinato presiedesse all’azione: in quella guerra si combattè quasi a caso, con provvedimenti improvvisati, volta per volta, secondo i bisogni del momento, ma senza un esatto e consapevole concetto di un fine strategico preciso e determinato a cui la guerra fosse rivolta.
Non è mio ufficio esaminare i fatti d’armi, i combattimenti le mosse, le marcie e le contromarcie dei due eserciti in quella guerra: anzi i limiti in cui è circoscritta l’opera mia, un tale esame mi divietano; onde accennerò unicamente alle liete speranze che i primi successi, dalle armi piemontesi ottenuti sulle rive del Mincio, nei combattimenti di Goito, di Valleggio e di Monzambano, fra l’8 e il 10 di aprile, avevano destato in tutti i cuori italiani.
Da quelle vittorie un fiero sobbollimento era derivato, che si diffondeva da un capo all’altro d’Italia e le cui manifesta-