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«Possano le nostre preghiere ascendere nel cospetto del Signore, e far discendere sopra di voi quello spirito di consiglio, di forza e di sapienza di cui è principio il temere Iddio, affinchè gli occhi nostri veggano la pace sopra tutta questa terra d’Italia, che se nella nostra carità universale per tutto il inondo cattolico non possiamo chiam/ire la più diletta. Dio volle però che fosse a Noi la più vicina.

«Datum. Romae apud Sanctam Mariam Majorem, die xxx martii mdcccxlviii Pontificatus Nostri anno secundo».

Questa Allocuzione fu pubblicata nello stesso giorno in cui si diffondeva a migliaia e migliaia di esemplari per Roma il nobilissimo proclama che il re Carlo Alberto, in data del 23 marzo, aveva indirizzato al popoli della Lombardia e della Venezia nell’atto di varcare, alla testa del suo esercito, il Ticino. Onde nuovi festeggiamenti pubblici avvennero in Roma e l’entusiasmo della grandissima maggiorità della cittadinanza, salì ai più alti gradi e si mutò quasi in delirio.

La partenza dei volontari pei confini dello Stato può considerarsi come la miccia accesa applicata alla bomba della contraddizione: il tempo che i volontari impiegheranno a giungere ai confini, sarà il tempo che la miccia impiegherà a dar fuoco alla polvere; allorchè i volontari passeranno il confine la bomba scoppierà e avrà fine la contraddizione che, per ventidue mesi di seguito, come cappa insopportabile di piombo si era venuta aggravando sulle ipocrisie e sugli equivoci di quella situazione, cosi torbida di pericoli e cosi gravida di sventure.