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26 | ciceruacchio e don pirlone |
rurali e le plebi cittadine fanatiche, neghittose, abbrutite, e per la più frequente e più sanguinaria atrocità delle repressioni e per la immobilità degli ordinamenti, era il Governo napoletano, largo, a suo modo, di benefizi verso la capitale, non curante delle Provincie; ringhioso e mordente ai Calabresi; ipocritamente detestatore dei Siciliani.
Il re Ferdinando II, sospettoso, fraudolento, ignorante, superstizioso, plebeo negli atti e nelle parole, per istinto, per educazione nemico di ogni libertà, pauroso dell’Austria, ammiratore del principe di Metternich, avverso ad una federazione nazionale, nella quale non aveva nulla da guadagnare, avversissimo all’unità, per la quale egli tutto rischiava di perdere. A lui fieramente ostili i nove decimi delle popolazioni siculo, ostile parte della nobiltà napoletana, ostile il ceto medio, i grandi possidenti, i commercianti, i dotti, i giureconsulti delle Provincie di qua dal Faro, favorevole a lui il fiacco e demoralizzato esercito e la plebe di Napoli, fedelissimi e devoti i reggimenti svizzeri: onde «i patiboli, le torture, i birri e gli svizzeri erano le sole armi che puntellavano il Governo»1.
Mite e benigno, forse un po’ neghittoso e indolente, era il reggimento della Toscana, dove il granduca Leopoldo II, equanime, dabbene, sobrio, temperante, piccolo di mente e minuzioso era riguardato con benevolenza e quasi amato da gran parte delle popolazioni, perchè la paterna benignità del Governo, lo
- ↑ F. A. Gualterio, op. cit, vol. IV, cap. XLVI, pag. 84. Si veda, con quale arte, nella sua Cronistoria della indipendenza italiana (vol. II, capitolo XXXIII) il Cantù cerchi di porre in bella luce quel po’ di bene che poteva resultare dal reggimento civile napoletano - bene che era in parte da attribuirsi ai re Giuseppe Buonaparte e Gioacchino Murat - e come si sforzi a nascondere, a tacere, o ad attenuare tutto ciò di incivile, di medioevale, di reazionario e di anti-nazionale che vi avevano operato e vi operavano i Borboni dal 1815 al 1845, mentendo in tal guisa, per furiosa bile di parte, alla verità storica solennemente affermata dal Colletta, dal Rossetti, dal Pepe, dal Ricciardi, dal Dragonetti, dal Settembrini, dal Leopardi, dal Gualterio, dal Nisco, dal Garnier-Pagès e da cinquanta altri storici nostrani e forestieri e, ultimamente, con soda critica e corredo di studi amplissimi dall’illustre prof. Francesco Bertolini, Storia del risorgimento italiano, Milano, Fratelli Treves editori, 1889, cap. II (specialmente a pagg. 63 e 64); cap. IV, da pag. 149 a 156 e cap. VI, da pag. 204 a 208 dove è riferito, fra altri, un severo giudizio sul governo di Ferdinando II di fonte non sospetta, perché è del conte Solaro della Margherita, socio in fede politica e religiosa dell’illustre Cesare Cantù e tolto dalla Storia della diplomazia europea in Italia del Bianchi.