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da Roma «ne ricevè conforti e benedizioni per sè e per la brava gioventù che - queste furono le parole di Pio IX andava incontro ai pericoli della guerra: nè il Papa mostrò al Ferrari contrarietà alcuna rispetto al passaggio del Po, nè gli tenne discorso di fermarsi ai confini». E del racconto fatto dal generale Ferrari di quella conversazione fa testimonianza l’intemerata coscienza di Aurelio Saffi, il quale lo udì dalle labbra del generale Ferrari medesimo 1.

Si dica, dunque, piuttosto che Pio IX, dopo avere approvato in Consiglio dei ministri ciò che, come Principe, poteva e doveva approvare, due ore dopo, dalla ferrea contraddizione che lo teneva inesorabilmente avvinto, era condotto a disapprovare, nel Consiglio dei cardinali, ciò che aveva approvato come Principe e che, come Pontefice, credeva e sentiva di non potere e di non dovere approvare: dicasi questo e si dirà il vero e si spiegheranno razionalmente e secondo la verità storica le cause di quel conflitto e gli equivoci dolorosamente fatali di quella politica a partita doppia.

Ad ogni modo, con un po’ di apparato scenico, se si vuole, ma confacevole all’entusiasmo ingenuo e primitivo di quelle genti in quella efflorescenza primaverile del patriottismo, si aprirono i registri per le iscrizioni dei volontari a piazza del Popolo e al Colosseo; e, in poche ore, «migliaia di volontà diedero il nome: era come al tempo dei consoli antichi: «nomina dederunt» 2 .

Fra i volontari si inscrisse anche Ciceruacchio, pieno di giovanile ardore per quella santa impresa.

«Il popolo poi, siccome era preso da entusiasmo nelle sue determinazioni, leggendo scritto il nome di Ciceruacchio nei ruoli fra i primi campioni, levò alta la voce dicendo di non voler perdere il suo rappresentante: e Ciceruacchio allora giurò di non partire, soggiungendo: partirà il figlio mio in mia vece, partirà il sangue mio» 3.


  1. A. Saffi, op. cit., cap. VIII, pag. 210.
  2. C. Cattaneo, op. cit., considerazioni al vol. II dell’Archivio storico italiano, pag. 338. G. Gabussi, Memorie ecc. citate, vol. I, cap. VII.
  3. G. Spada, vol. II, cap. VII, pag. 138. Tale narrazione è confermata dalla Pallade, dall’Epoca, dal Balleydier, dal Colombo, dal Silvagni, dal Saffi e dal Tivaroni.