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capitolo quinto | 277 |
del 3 di cui demmo un semplice cenno afferma uno degli storici papalini - eccitarono tale un sentimento di tristezza e di sdegno in presso che tutti i romani da non potersi descrivere»1.
E uno degli storici dottrinari aggiunge: «Erano rimpianti i lutti di Lombardia che Massimo D’Azeglio descrisse con parole più generose che prudenti. E la gioventù romana pomposamente suffragava l’11 e il i2 di gennaio all’anima dei morti per ferro austriaco: ufficio di pietà e di covata vendetta insieme. Vi assistevano i militi cittadini, i Consultori di Stato, il ministro di Sardegna e quanti erano Lombardi in Roma. Un frate barnabita, Gavazzi, in occasione di una di quelle feste funeree (che non fu una sola, perchè a funeree feste l’Austria dava frequente materia, e volevasi, quando in piazza non v’era di che, fare ragunata in chiesa), fu, dissi, in una di quelle occasioni che padre Gavazzi montò improvviso sul pulpito, e nel tempio del Dio di pace parlò parole di guerra: del che fu ammonito poi e punito, e gli agitatori presero disdegno della pena, perchè piaceva anche la indisciplina dei fidati, e la chiamavano libertà»2 .
Ma, a mostrare come il subiettivismo dei giudizi e la passione di parte traggano uno storico, per molti altri rispetti,
- ↑ G. Spada, op. cit., vol. II, cap. I, pag. 18.
- ↑ L. C. Farini, op. cit., lib. I, cap. IX, pag. 318. - Nelle quali parole dell’illustre storico romagnolo salta agli occhi del lettore la inconseguente contraddizione che le governa. «Ufficio di pietà e di covata vendetta», esclama il Farini, quasi a rimprovero degli studenti romani: ma, in nome di Dio e della logica, che cosa si poteva pretendere da quei giovani, poichè a funeree feste l’Austria dava sovente materia, e poichè, dal 1815, durava l’esecrato dominio straniero, e, da più di trent’anni, si andavano accumulando negli animi degl’Italiani i rancori, le ire e il desiderio della riscossa? Si poteva pretendere che, mentre il popolo romano, raccolto nella chiesa di san Carlo, pregava pace alle vittime dell’Austria, invocasse la protezione celeste sugli stranieri che quelle vittime avevano assassinato? E perchè esigere che il padre Gavazzi e quei giovani e il popolo romano dovessero essere dottrinari come il Guizot, e, in ogni atto, in ogni parola, s’avessero a governare, con la prudenza e l’avvedutezza e la chiaroveggenza, che tutti sanno consigliare dopo successi i fatti e secondo i preconcetti della scuola dottrinaria, e non piuttosto così come ragionevolmente e necessariamente imponevano le premesse, cioè i fatti che avevano preparato quella situazione, quella condizione di animi, quelle accese passioni e quell’ambiente? Perchè pretendere sempre che dal seme dei lupini, gettato nell’orto, possano e debbano scaturire le fragole?