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272 | ciceruacchio e don pirlone |
Sin ch’uno strilla arrosto e l’antro allesso |
Di quei dieciotto mesi di tentennamenti cosi ragiona il Bianchi-Giovini: «Dopo il perdono, le ulteriori riforme di Pio IX furono piuttosto l’opera degli avvenimenti che della sua volontà. Trascinato da abituali pregiudizi e da una timorata coscienza, ei resistè più di una volta al progresso sociale del suo popolo, ma le circostanze lo spinsero avanti e cedette. Si volle la libertà della stampa, la diede: poi si pentì, ricalcitrò: ma fa spinto avanti e cedette. Si volle una Consulta: ei titubò, esitò, ma fu spinto avanti e cedette. La Consulta volle render pubblici i suoi atti: ei protestò, si oppose, ma fu spinto avanti e cedette. La Consulta volle anco deliberare: nuove opposizioni, nuove proteste, ma fu spinto avanti e cedette. Non si volevano più gesuiti: si reclamò, protestò, ma fu spinto avanti e cedette. Insomma, animata e mossa una volta la circolante materia, essa obbedì alle leggi della natura, e percorse da sè medesima la propria orbita»2.
Onde era naturale ciò che altri affermò, e cioè che «attraverso a tutte queste cose, in mezzo a questi continui contrasti, in mezzo a queste esitazioni, a queste contraddizioni, a queste promesse tradite, a queste speranze ingannevoli, Pio IX avanzava, mx avanzava per salti, per cosi dire, di concessione in concessione»3.
- ↑ L. Morandi, op. cit., vol. V, pag. 359 e 365.
- ↑ A. Bianchi-Giovini, Pio IX e Carlo Alberto, Alessandria, dalla tipografia Capriolo, 1848, pag. 14.
- ↑ L. Pianciani, op. cit., vol. II, cap. XXII, pag. 407.
puto mai osare la depravata coscienza dell’uomo». (I sonetti Romaneschi di G. G. Belli pubblicati dal nipote Giacomo a cura di L. Morandi, Città di Castello, S. Lapi, tipografo-editore, 1889. Prefazione, pag. ccxliiii). Giudizio non soltanto esagerato - come si vedrà dal seguito di questa storia ma ingiusto ed iniquo. E tanto più ingiusto e tanto più iniquo in quanto che proveniva da uomo il quale, così tenacemente, aveva cooperato a preparare quegli eventi e che aveva il dovere di riflettere che se, demolendo la teocrazia ed il Papato, egli non aveva avuto intenzione di giungere agli eccessi a cui giunsero i feroci settarii del Zambianchi, neppure i reggitori repubblicani, onestissimi uomini quasi tutti, avevano avuto intenzione di giungervi e quindi non ne erano neppure essi responsabili.