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mando che contava su loro, che sperava buoni frutti nascerebbero dall’opera a cui essi stavano per accingersi. Disse che il bene dei sudditi gli era stato a cuore fin dal primo giorno della sua elezione: che Dio e i sudditi gli eran testimoni! che al conseguimento di questo bene egli aveva consacrato ogni sua cura, e che, col divino aiuto, ogni sua cura consacrerebbe per l’avvenire.

A questo punto del suo dire, venutogli veduto lo Sterbini, il Papa si arrestò un istante, si rannuvolò, e con subitaneo impeto di collera, inesplicabile a tutti e che tutti rese attoniti, divenuto acceso in volto, con voce vibrata e alquanto tremula, irruppe in una volgare diatriba che il Diario di Roma, giornale ufficiale cercò di nascondere alla meglio ravvolgendola in queste parole: «. . . senza però menomar mai neppur di un apice la sovranità del pontificato, quale avendo egli ricevuta da Dio e da’ suoi antecessori piena ed intera, tale doveva trasmetterne il deposito sacro ai suoi successori. . .

E qui disse che la Consulta egli «l’aveva riunita, per ascoltarne all’uopo i pareri, per giovarsene nelle sue sovrane deliberazioni, consultando la sua coscienza e conferendone co’ suoi ministri, e col suo sacro Collegio. . . Ingannarsi grandemente chiunque credesse esser diverso da questo il loro ufficio: ingannarsi chi nella Consulta di Stato da lui istituita vedesse qualche utopia propria, o i semi di una istituzione incompatibile colla sovranità pontificia»1.

Qui il Papa si arrestò, tacque alquanto, procurò ricomporsi e prosegui, mutata voce ed atteggiamenti dicendo: «Quella vivacità e quelle parole non riguardare alcuni di loro, cavalieri onorati ed altre simili persone (sic), delle quali, fin da quando le elesse conoscendone la educazione sociale, la probità crstiana e civile, gli era nota ugualmente la lealtà de’ sentimenti e la rettitudine delle intenzioni; non riguardare nemmeno la quasi totalità de’ suoi sudditi, della cui fedeltà ed obbedienza esser sicuro; sapendo che i cuori dei suoi sudditi sono uniti al suo nel desiderio dell’ordine e della concordia. Esservi però disgraziatamente alcuni, pochi di numero sì,

  1. Diario di Roma del 16 novembre 1817, n. 91.