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capitolo quarto | 221 |
tieri militi della civica, specialmente del rione Monti e di avere mantenuto vivo, in mezzo ad essi, dopo Tallocuzione papale del 29 aprile 1848, i sentimenti patriottici e l’ardore degli spiriti bellicosi contro lo straniero e le aspirazioni alla libertà, largheggiando in somministrazioni di danaro che forse - ma non è chiaramente provato - accordò anche ai fratelli Bernardino e Filippo Facciotti e ad una congrega di esaltati la quale si riuniva nella loro bottega di ebanisti alla salita di Marforio e di cui faceva parte anche il delatore Bernasconi. Quella congrega, composta dei più disparati elementi, raccolse, in sè, oltre a molti bravi ed onesti popolani, anche un po’ di feccia dei bassi fondi sociali e in essa si tramarono, dal maggio al novembre 1848, le più sciocche ed innocue congiure, nelle quali - tanto erano ingenue e sconclusionate - la polizia annoverava non meno di otto suoi confidenti. Risultò ancora dal processo contro gli uccisori del conte Rossi, a carico del principe di Canino, che egli corse ad armarsi di fucile il 16 novembre, dopo che gli Svizzeri ebbero fatto fuoco sul popolo sulla piazza del Quirinale e tornò, armato, agli assalti. Non gravi delitti invero!
Ma per tornare agli avvenimenti della rivoluzione, accennerò alle grandi manifestazioni popolari, alle quali partecipò la guardia civica in armi - con cui fu festeggiata, il 2 e il 3 ottobre, la promulgazione del motu-proprio del 1° di detto mese per effetto del quale il Pontefice restituiva la sua rappresentanza municipale alla città di Roma1.
- ↑ B. Grandoni, op. cit, anno 11, pag. 89 e seg.; G. Spada, op. cit., vol. I, cap. XVIII; A. Saffi, op. cit, cap. VI, pag. 119 e 120; A. De La Forge, op. cit., vol. II, § 10; Diario di Roma del 5 ottobre, n. 80; Pallade del 3-4 ottobre, n. 74; Speranza del 4 ottobre, n. 10; Bilancia del 5 ottobre, n. 44.
satore, Filippo Bernasconi, il lenone impunitario, colonna vertebrale di tutto il processo, i coniugi Salvati, il duca don Mario Massimo, il tenente dei carabinieri Lavagnini, il maresciallo Paravani, Rosa Benasi e il dott. Diomede Pantaleoni.
Allontanano da lui ogni complicità, e quasi per propria scienza, Pietro Luzzi, Innocenzo Zeppacori (in un’altra delle sue molte deposizioni), Vincenzo Longhi, il cav. Pietro De Angelis, in due testimonianze l’ispettore di polizia Rosalbi, l’agente di polizia Volponi, l’ispettore di polizia Del Fante, il Galluppi, il Villanuova Castellacci, il fornaio Toncker, il confidente di polizia Dell’Olden, il Giancamilli, il Pinci, il Cerocchi, il colonnello della civica Angelo Tittoni, il Belli, il Mucchielli, lo Scaccia e il colonnello Grandoni.
Del resto di tutto ciò tratterò più diffusamente - come ho grià detto - nell’altro volume Pellegrino Rossi e la Rivoluzione romana.