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capitolo quarto | 219 |
confessa il favolista Balleydier che non è punto benevolo verso il Bonaparte - anche generoso nelle occasioni1, egli aveva ereditato gli spiriti ostinatamente repubblicani del padre; nella sua qualità di scienziato era quasi ateo; spregiatore e detestatore dei preti e dei gesuiti, sentiva circolarsi nelle vene, insieme col sangue dei Bonaparte, anche le febbrili loro voglie ambiziose. Era sinceramente democratico, tuttochè tendesse per scatti naturali al prepotere, e fu poscia ardente repubblicano. «Possessore di un vasto tenimento a cui è congiunto il titolo di principe romano, vende la terra per centomila scudi, il titolo per un soldo, e vuole, scrupolosamente rigoroso, che nell’atto notarile ciò sia ben rogato»2. L’ostentazione che appare in questo tratto rivela l’uomo in tutta la esagerazione dello studiato suo atteggiamento democratico.
I giudici processanti avvocato Cecchini e avvocato Lauronti, incaricati della processura contro gli uccisori del conte Pellegrino Rossi, come quelli che non avevano il mandato e non volevano fare il processo agli individui che compierono quell’assassinio politico, ma avevano il mandato di fare il processo e volevano fare il processo a tutti indistintamente gli uomini della rivoluzione - tanto è vero che - cosa incredibile, ma pure realtà! - tentarono di coinvolgere nel processo per l’omicidio Rossi il conte Terenzio Mamiani della Rovere!!! - i giudici processanti Cecchini e Laurenti cercarono di coinvolgere in tale processo anche il principe di Canino. E, giovandosi di un testimonio, di cui ogni Governo e ogni magistrato che avessero avuto il rispetto di sè stessi avrebbero rifiutato sdegnosamente la cooperazione e le deposizioni, fecero accordare dal Pontefice l’impunità ad un infame uomo, pubblico lenone, condannato già per
- ↑ A. Balleydier, op. cit., cap. I, in fino.
- ↑ C. Rusconi, Mem. anedd. cit, luogo sopra citato. Cfr. con M. Minghetti, opera e luogo citato, e col volume, Massimo D'Azeglio e Diomede Pantaleoni, Carteggio inedito con profazione di G. Faldella, Torino, L. Boux e C, 188S, pag. 166; con L. C. Farini, op. cit., lib. I (il quale non adopera nei giudizi sul Canino, suo avversario politico, quella temperanza e moderazione di giudizi che si era in diritto di aspettare da lui moderato e che si era assunto l’ufficio di storico imparziale); cap. VII, cap. XI, cap. XVII, cap. XVIII e passim; con F. Ranalli, op. cit., vol. II, lib. XII, pag. 281, e con F. Orioli, articolo nella Bilancia del 27 agosto 1847, n. 33. Quasi tutti gli storici di quegli avvenimenti favellano, qua e là, qualche cosa del principe di Canino, a seconda degli umori di parte, variamente giudicandolo.